Correvano i primi giorni di gennaio dell'Anno Domini 2022, la neve era scesa sufficientemente copiosa sulle montagne trentine, impedendo qualsivoglia ricerca sul cime montuose in quota.
Da diverse settimane questo ci aveva impedito di condurre qualsiasi tipo di ricerca, ma smaniavamo al solo pensiero di cosa si potesse celare sottoterra, tra radici e zolle di terra gelata, in un terreno a 1000 metri di quota che nel maggio del 1916 era stato teatro di efferatissimi scontri, fra truppe sabaude e soldati imperial-regi.
Ma quella fatidica settimana, dopo gli ozi natalizi e le libagioni per salutare l'anno nuovo, qualcosa cambiò: mal sopportavamo l'idea di oziare ulteriormente, tra calde coperte e tisane alle erbe, volevamo l'odore di terra sulle vesti, le dita blu per il freddo e il brivido dell'avventura.
In poco tempo il corpo di spedizione venne formato, non potevano esistere tre individui più diversi tra loro, un'accozzaglia di età e luoghi diversi, accomunati dal brivido della ricerca:
- primo tra tutti "Crock man", l'uomo "croccante", cosi chiamato per la sua ossessione nel raccogliere qualsiasi oggetto capiti sotto la sua piastra. Non esiste scheggia, scatoletta o bossolo che egli non veneri come una reliquia. Si narra che il suo garage sia simile alla grotta dei quaranta ladroni, ma colmo di lamiere, scatolette e materiale incredibilmente...croccante. Fu lui a iniziarmi all'arte del metal detector diversi anni or sono, da quel momento ho condiviso con lui fame, freddo, gioie per i ritrovamenti e dolori per le scavigliate prese;
- l'abitante delle pianure romagnole: ogni volta che viene a scavare gli toccano 2 ore e mezza di macchina (almeno), deliziandoci sempre con squisiti insaccati prodotti da lui. Giunge da noi con la vana speranza che per una volta non si debba camminare fuori dai sentieri, questa tenue fiducia viene sempre disattesa alla vista dei canaloni che portano verso ignote destinazioni;
- il sottoscritto, affettuosamente chiamato "busone": i miei soci affermano che la mia fortuna sia proverbiale, ammetto che ogni tanto mi capitino alcuni colpi di fortuna in zone battute e strabattute, ma credo di essere un filino sopravvalutato.
Dopo queste doverose presentazioni, torniamo pure alla nostra avventura. Dove eravamo rimasti? Ah già, quel fatidico 7 gennaio 2022!
Sveglia alle ore 6.30 ante meridiem, incontro con l'uomo Crock alle ore 7.30, spesa già fatta, metal detector carichi, serbatoio di benzina pieno e via, verso le fredde valli del Trentino!
Poco dopo incontriamo il nostro socio di scavi romagnolo, stanco come non mai per il viaggio dalla sua lontana patria alla nostra.
Le sue scherzose lamentele ci accolgono come scendiamo dalla macchina:" Oggi quindi si scava dove non c'è neve, giusto? Non dobbiamo mica camminare più di tanto..."
L'uomo crock ed io ci guardiamo, ridendo sotto i baffi: conosciamo bene il luogo prescelto per gli scavi, negli anni precedenti quella ripida cresta di ha riservato innumerevoli sorprese, nonostante l'immane difficoltà nel raggiungere i canaloni più scoscesi.
"Ma no-dico io-vai tranquillo, la vetta la vedi dietro di te." Gliela indico con il dito:"Ecco, guarda, in meno di un'oretta siamo già in cima, non c'è nemmeno tanta neve. Fidati che la zona merita, è generosa con chi sa dove cercare."
Caricati i tre zaini in macchina (n.d.r. si trattava della famosa "crock mobile", negli svuota tasche spesso si trovano scatolette e rottami vari), ci addentriamo in una stretta valletta che in poco meno di mezz'ora ci conduce alla falde di un dolce picco montuoso, la cui cima inizia a essere rischiarata da una gelida alba invernale. La temperatura sfiora i 2 gradi sottozero, il nostro fiato si condensa in fitte nuvolette di vapore e nonostante i pesanti abiti invernali le nostre membra risultano intirizzite e rigide.
Per evitare di perdere altro tempo la nostra colonna si avvia lungo il sentiero gelato, "Gambe in spalla-grido-quella è la nostra meta, tesori magnifici ci aspettano!".
Man mano che saliamo, le parole si fanno più rade e la neve più fitta, qualche uccellino delizia la nostra ascesa con il suo richiamo mentre il vento gelido spazza la bianche chiome degli abeti.
Il nostro cammino s'interrompe dopo qualche km: un canalone innevato si apre alla sinistra della stretta mulattiera che ci ha condotto fin li Abbiamo due scelte, proseguire lungo il sentiero che serpeggia dolcemente davanti ai nostri occhi o...o...insomma, "audentes fortuna iuvat", la neve non ci spaventa, ci spaventa la possibilità di non trovare alcunché!
Per due ore e mezza il canalone ci resiste, si rifiuta di rivelare a noi i suoi segreti, ci strema e ci rallenta la salita con la neve alta e gli alberi caduti. Il nostro socio romagnolo arranca lento, maledicendoci per l'infausta scelta del posto, invocando l'altissimo a denti non tanto stretti.
Alle 11 vediamo finalmente la cresta erbosa della dorsale, il sole ha sciolto la neve nel tratto finale, che gioia per i freddi piedi che calzano scarponi ancora più gelidi!
Per ora i ritrovamenti sono deprimenti: qualche caricatore italiano e austriaco, bossoli sparati, schegge varie (prontamente raccolte dal nostro croccante ominide).
I segnali iniziano a farsi più fitti: il romagnolo, tra l'incredulità generale, scava un paio di lenti italiane rossicce anti riverbero in condizioni eccellenti.
"Te lo avevamo detto noi, che la zona merita...", lui non bestemmia più cosi tanto, coccola le lenti come se avessero vita propria.
Il secondo ritrovamento degno di nota viene scovato dal sottoscritto, una bella fibbia italiana senza traccia di ruggine! Ma non è ancora abbastanza per la sfacchinata e per il freddo, ci vuole ben di più per ripagare quella salita.
La pausa pranzo giunge poco dopo: qualche panino e diverse barrette girano tra le nostre mani, qualcuno di noi si accende una stanca sigaretta, parliamo di ritrovamenti, sogni e conquiste! "Eh pensate, quel recuperante che conosco di vista mai ha raccontato di aver trovato, proprio su questa cresta...", quante volte abbiamo sentito questa fatidica frase?
Concluso il frugale passo prosegue la lenta camminata.
Qualche fibbietta per zaino italiano, una per tascapane austriaco, un scheggia di una rohr sferica e cosi via.
Alle ore 13.20 un grido inumano scuote il bosco, silenziando i pochi uccellini che rallegravano quello scavo infruttuoso.
è l'uomo crock ad aver emesso quel verso gutturale e inarticolato, cosa dice? Dal canalone in cui mi trovo non lo sento benissimo "Ka...kap..kapp...KAPPEN!"
Impossibile, non può esser toccato a lui il colpo di fortuna della giornata! Ansimando risalgo il pendio: lui si trova in ginocchio, con in mano un piccolo oggetto ottagonale.
Poco distante esce persino una forchetta in ottone, dimenticata da qualche ufficiale austriaco di passaggio. Non pensavamo potesse uscire un Kappenabzeichen da quella zona, eppure siamo stati smentiti da quel piccolo oggetto in condizioni eccezionali.
Passa un'altra ora, l'uomo crock è al settimo cielo, non fa altre che parlare del suo piccolo distintivo, il romagnolo tesse le qualità dei suoi occhiali antiriverbero mentre io, beh, io continuo la ricerca a capo chino e sperando nel fatidico colpo di fortuna finale!
E poco dopo, in una zona totalmente priva di segnali, la Dea Bendata mi elegge suo beniamino.
Da notare gli scarponi foderati di ghiaccio.
Ora siamo quasi pari, non che fosse mai stata una gara eh, ma si sa, la sana competizione tra amici tira fuori sempre il meglio di ognuno!
Mancano poche ore, forse due, di ricerca. Siamo finalmente al di sotto della prima linea italiana, qua e là frammenti di filo spinato fanno capolino dalla loro prigione di legno, inglobati da decenni nella flora locale.
Un debole segnale attira la mia attenzione, smuovendo appena lo strato di radici e neve che mi separa dal mio premio, intravedo un sottile lamierino: incredibile, occhiali antiriverbero austriaci, persi li dove correva il filo spinato! Se solo potessero parlare...
Chiamo i miei due compagni di merenda per condividere il mio piccolo reperto, iniziando poi a battere l'area circostante, non si sa mai che gli imperial-regi abbiano perso altro!
L'uomo croccante mi supera e prosegue lungo il sentiero, pensando che il piccolo pendio al di sotto del filo spinato gli riservi ferrose sorprese.
Il sottoscritto invece, più lento che mai, inizia a sondare una piazzola ricoperta di piccoli arbusti e neve che si intravede tra le pieghe del sentiero lungo la cresta.
La stanchezza si fa sentire, le dita stringono a malapena la piccozza da quanto sono fredde e intirizzite, le dita dei piedi sono solo un vago ricordo di quella mattina tanto è il gelo che le intrappola.
"Quasi quasi-penso tra me e me- potremmo quasi incamminarci verso valle, scavo questo ultimo segnale e poi si può tornare."
Mi inginocchio, o meglio, mi abbatto con le ginocchia nulla neve, smuovendo zolle di terra con la piccozza finché non vedo comparire la forma allungata di un fodero.
Il secondo in un solo pomeriggio,questa si che è fortuna! Lo afferro per smuoverlo dalla sua prigione centenaria e questo segue dolcemente la mia mano. In quel momento mi sono sentito un prescelto, come Artù che afferra saldamente Excalibur per estrarla dalla roccia, come il Alessandro Magno che imbraccia la sua lama e si prepara per affondarla nelle carni nemiche.
Questo è quello che provo quando in mano, tra le dita tremanti, vedo questo.
Il tempo si ferma, questa volta sono io a gridare per la gioia! Immediatamente i miei compagni accorrono, il loro stupore è assoluto e silenzioso. Guardano senza parlare l'oggetto del desiderio, un fantastico Dolchmesser ancora nel suo fodero, con una guancetta in legno perfettamente conservata.
Il freddo svanisce in un attimo, non m'importa non sentire le dita, è importante che la giornata abbia premiato tutti i membri della spedizione senza esclusione.
La Fortuna ci ha presi sotto la sua ala protettrice uno dopo l'altro, premiando i nostri sforzi con ritrovamenti a mio avviso fantastici.
Ecco i mei, ancora umidi e sporchi di terra.
Quelli di tutto il team.
Infreddoliti e sporchi, con l'entusiasmo ancora alle stelle, ci incamminiamo verso la macchina mentre un sole morente bacia le alte vette del Trentino.
Il "coltellaccio" a fine restauro.
Dedicato a Francesca, musa della mia ispirazione.