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POPOLAZIONE E COSMOPOLITISMO DELL’ IMPERO ROMANO

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GURKHA

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POPOLAZIONE E COSMOPOLITISMO DELL’ IMPERO ROMANO



Il calcolo della popolazione romana del tardo Impero è sempre stato un tema controverso. Gli storici, in mancanza di censimenti, si erano basati sulla superficie dell’Urbe, sul numero delle insulae e sui cittadini avendo diritto alla distribuzione di cibo da parte delle autorità. Per il periodo dell’alto Impero, le stime andavano da 750.000 a 2 milioni di abitanti, ma si presume che questa cifra fosse esagerata e che gli abitanti non avrebbero dovuto sorpassare la cifra di un milione. Dopo il primo terzo del secolo III, la mancanza della costruzione a Roma di nuovi acquedotti, indicava che la popolazione della Città non fosse aumentata durante questo periodo, ma poichè la fornitura dell’acqua era più che abbondante, questa teoria potrebbe non essere veritiera.

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La popolazione rimase stabile durante il IV secolo, mentre gli avvenimenti del V e VI secolo provocarono una forte diminuzione della popolazione, fino al crollo definitivo durante la metà del VI secolo a causa della guerra Greca- Gotica. Nel IV secolo gli iscritti sulle liste ufficiali degli aventi diritto alla distribuzione gratuita del cibo erano 200.000, ossia 1/3 della popolazione civile che oscillava fra le 550.000 e le 900.000 unità. Ma tale popolazione durante il IV secolo era inegualmente ripartita nelle varie regioni dell’Urbe.

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Alle zone densamente popolate si contrapponevano delle zone monumentali non residenziali, come il Centro di Roma. Una flessione demografica ebbe luogo tra il 408 ed il 419, con la diminuzione di circa 300.000 persone e tra il 419 ed il 452, Roma non superava più di 300.000 abitanti. Quando nel 530 la popolazione dell’Urbe aveva subito una flessione ulteriore, si ipotecava che l’abitassero solo 80.000 persone. Più tardi fra il 408 ed il 530, l’Urbe perse i 9/10 della sua popolazione per causa delle emorragie dovute a saccheggi e numerosi assedi. Questa diminuzione era stata accompagnata da una migrazione all’interno della città di Roma. Le zone più elevate della città furono abbandonate e nel VI secolo la popolazione si concentrò nelle zone basse della città e nell’ansa del Tevere.

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Dal punto di vista demografico la popolazione romana era caratterizzata da un forte cosmopolitismo, con cittadini di età media o bassa. Per cosmopolitismo bisogna intendere che la popolazione era costituita da individui provenienti da tutte le regioni dell’Impero, per potere trascorrere nell’Urbe alcuni periodi di tempo o di risiedere stabilmente. Le numerose iscrizioni funerarie ritrovate, che citano l’origine dei defunti sono eloquenti. Molte di loro erano scritte in greco, perché i Greci erano numerosi a Roma fin dell’epoca di Giovenale, che stigmatizzava quegli stranieri usando toni di una forte xenofobia. Anche gli Ebrei formavano un gruppo numeroso ed animato da un vigoroso sentimento comunitario al punto che disponevano di quattro cimiteri siti sulle strade consolari che portavano alla città.

A Roma i ragazzi con meno di vent’anni rappresentavano poco più della metà della popolazione. Secondo gli epitaffi latini di Roma, sembra che la durata della loro esistenza fosse di solo 15 anni, cioè 3 anni inferiore di quella attestata per le numerose province dell’impero, ma probabilmente si trattava di una valutazione errata.

La popolazione romana era molto variegata, era composta di categorie sociali diverse, provenenti da tutte le regioni dell’Impero, dai senatori ricchi e potenti, ai commercianti, studenti ed altri ceti sociali. Quanto agli stranieri residenti a Roma per affari o per studi, erano oggetto di sorveglianza speciale da parte degli uffici governativi urbani. Secondo Ammiano Marcellino, che aveva un rancore particolare per questi ultimi, a Roma gli stranieri erano considerati con diffidenza se non addirittura con disprezzo.

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Visigoti al centro di Roma

E per causa di quella forte corrente xenofoba, in occasione della crisi di approvvigionamento della città nel IV secolo, i prefetti espulsero dall’Urbe gruppi di stranieri di passaggio. Tale provvedimento fu adottato da Orfito nel 353-356 e da Simmarco nel 384.

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Per stranieri bisogna intendere innanzitutto i pellegrini, cioè i residenti che non possedevano la cittadinanza romana ed ai quali erano stati aggiunti anche i cittadini romani residenti in altre città dell’Impero e che non usufruivano della distribuzione pubblica di cibo durante le penurie, che di tanto in tanto gravavano pesantemente sul mercato libero della città.

Con la legge del 12 dicembre 416, Onorio e Teodesio proibirono agli schiavi Barbari, di portare capelli lunghi e vesti in pelle in città. Con tale misura cercavano d’impedire la presenza in Roma di una popolazione di origine barbara che aveva conservato i suoi usi e costumi anche nell’abbigliamento, come oggigiorno i musulmani residenti in Italia che vestono il burka o portano il velo. Emanata sei anni dopo il sacco di Alarico, tale disposizione imposta dalla legge, voleva porsi come una reazione all’imbarbarimento della popolazione, cosi i barbari che vivevano in città furono obbligati a tagliarsi i capelli e vestirsi con vestiti di stoffa. Gli schiavi che non avessero ottemperato a tali disposizioni sarebbero stati condannati ai lavori forzati pubblici.

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Il prefetto dell’Urbe Probiano fu tenuto a fare conoscere e rispettare tale legge non solo in città ma anche nella provincia circostante, ossia nella zona di cento miglia intorno a Roma o sottoposta alla sua giurisdizione. A partire dal regno di Valentiniano I furono anche vietati i matrimoni misti tra Romani e Barbari, ma quella disposizione non era riuscita ad impedire la nascita di bambini semi-barbari.

L’assistenza a Roma della plebe dipendeva dal governo e risale al II secolo a.C. Tale plebe viveva esercitando mille mestieri, ma grazie anche alla distribuzione gratuita od a prezzi controllati dei prodotti alimentari. Questa grande massa di romani poveri o di modesta condizione formava una folla variegata, dai costumi o stili di vita spesso deplorevoli, che passava le notti nelle taverne tra rumorosi litigi e seguendo di giorno le corse dei carri od assistendo a degli spettacoli teatrali offerti dai governanti. Durante quegli spettacoli i cittadini potevano esprimere liberamente le loro opinioni senza usare mezzi termini, opinioni tollerate anche quando colpivano il prefetto o l’imperatore.



Durante il tempo di Valentiniano, l’imperatore aveva istituito dei difensori della plebe in ogni città, per offrire protezione agli umili dalle prepotenze del ceto dei potenti e dei ricchi. Quanto alla popolazione servile nella Roma antica, era stata decisamente più numerosa durante i tempi della Repubblica o dell’Alto Impero ed anche quando la politica delle conquiste dell’impero si era estinta con il regno di Traiano. La fonte si era di rinnovamento di tale popolazione di servi o schiavi si era esaurita.

Con il cristianesimo la situazione degli schiavi migliorò, ma gli uomini di chiesa dell’epoca si limitarono solo a chiedere ai padroni di trattare gli schiavi con più umanità.

A partire dal IV secolo furono favoriti gli affrancamenti e nel 316 Costantino vietò di marchiare a fuoco gli schiavi, cosi si diffuse l’usanza del collare portato dai servi sul quale venivano incisa l’identità del loro padrone. Chiunque accogliesse uno schiavo fuggitivo era severamente punito. In quel periodo i Romani di alto rango avevano al loro servizio masse di schiavi e servi nelle loro dimore di città e nelle loro proprietà agricole che circondavano Roma. Quella usanza barbara era diffusa fino alla fine del VI secolo.
Molti giovani provenienti da tutte le province di Roma, ma anche dall’Africa e dalla Gallia, si recavano in Città per seguire gli studi superiori. In quel periodo l’Africa era nota nell’Impero per essere un vivaio di avvocati e della Gallia si diceva che fosse un paese di gente molto colta.

Durante il IV secolo, nel quale la lingua latina trionfava, le scuole romane iniziarono ad accogliere anche degli studenti di origine orientale. Grazie a testi antichi pervenuti fino a noi, abbiamo delle valide informazioni su come si svolgeva la vita studentesca, rigidamente controllata a Roma, durante tutta la durata del loro soggiorno. Per gli studenti stranieri al loro arrivo in città, le matricole dovevano farsi registrare presso l’ufficio del magister cencus, presentando i propri titoli di studi, raccomandazioni ed anche l’autorizzazione del governatore della loro provincia di origine, completa di tutti i loro dati anagrafici.

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St. Ambrogio e Teodorico

In seguito dovevano riempire una scheda della polizia con l’indirizzo in città dove dovevano eleggere la loro residenza, cosi in qualsiasi momento potevano essere controllati dalle forze dell’ordine.

La legge del 370 stabiliva che gli studenti ritenuti seri e validi potevano risiedere a Roma fino all’età massima di vent’anni. Dopo di che dovevano andarsene di propria iniziativa, altrimenti la prefettura urbana poteva farli espellere verso il loro paese di origine. Per fare rispettare delle leggi cosi severe, l’ufficio speciale incaricato dal governo doveva stendere ogni mese una relazione contenente l’elenco degli studenti appena arrivati e di quelli prossimi a partire.

Solo gli stranieri iscritti ad una corporazione professionale romana potevano derogare a tale obbligo ed ottenere il permesso di stabilire la loro residenza nella città di Roma.

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Il soggiorno di uno studente poteva essere interrotto bruscamente per cattiva condotta o per avere partecipato a delle attività associative turbolenti od assistito a troppe feste o spettacoli. Lo studente colpevole poteva essere fustigato pubblicamente ed espulso con la prima nave in partenza, ma quelli brillanti potevano essere avviati ad una brillante carriera amministrativa, cosi ogni anno il prefetto dell’Urbe faceva pervenire agli uffici imperiali un elenco dei migliori elementi scelti, in modo di potere valutare un loro eventuale reclutamento per servire lo stato Romano.

Tali severissime misure erano nello stesso tempo di natura demografica, poliziesca e scolastica ed in questo modo la legge cercava di controllare rigidamente il flusso degli studenti stranieri a Roma ed a garantire l’Ordine pubblico ed il prestigio della cultura, delle arti e filosofia, che non dovevano essere compromessi dai comportamenti smodati degli studenti. Ma sappiamo bene che le leggi restrittive non bastano a correggere tutti gli effetti negativi del comportamento degli uomini, infatti secondo le annali del tempo, gli studenti delle grandi città dell’impero turbavano ugualmente l’ordine pubblico, con i loro atteggiamenti turbolenti e rumorosi, forzavano le porte durante le lezioni o facendo irruzione nelle aule.

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A Roma, più sorvegliata grazie alla legge del 370, il comportamento degli studenti era diverso, ma usavano disertare le aule dei corsi di studi quando arrivava l’ora di saldare l’onorario dei professori. Cosa strana sembra che nel 384, nella città di Milano il comportamento degli studenti fosse molto più serio.

I migliori studenti di retorica erano quelli più ricercati dal governo di Roma per poter cosi rifornire la milizia degli Uffici Imperiali.

I commercianti all’ingrosso della città facevano parte della corporazione dei magnarii e tra di loro molti erano di origine greca e siccome suscitavano la gelosia dei negozianti dell’Urbe, durante il V secolo furono banditi dalla città. Ma Valentiniano III aveva chiesto il loro ritorno autorizzandoli a riprendere la loro attività, pensando che la loro presenza nell’impero sarebbe stata una garanzia di prosperità e di ripopolamento per la situazione demografica molto carente nella città di Roma.

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Per quello che riguarda i numerosi flussi di immigrazione di stranieri verso l’impero, assistiamo ad un fenomeno nuovo nel quale mano mano che il Diritto Civile dei paesi stranieri si stava modellando sul Diritto Civile Romano, le distanze tra i cittadini Romani e gli stranieri si stava affievolendo e cosi per causa di numerose campagne di naturalizzazione di massa, nuovi flussi di pellegrini erano stati accolti nella città.

Il carattere cosmopolita dell’Urbe era evidenziata con l’emersione del flusso di migranti provenienti dalle lontane province dell’impero e che portavano i loro idiomi, usi e costumi. Giovenale era insorto contro questa invasione torrenziale ed incontrollata, ma malgrado tutta l’opposizione dei cittadini romani, molti immigrati provenienti dalla Siria, paese disprezzato da Giovenale, presero ugualmente la cittadinanza romana e stranamente quei nuovi arrivati dimostrarono subito verso i successivi flussi d’immigrati una xenofobia ancora più accesa di quella dimostrata dai cittadini di origine romana.
Gli storici dell’epoca come Giovenale, Marziale e Plinio, tutti residenti a Roma ma originari da lontane province dell’impero, rimasero sempre molto legati alla loro terra di origine che colmavano di preziosi aiuti.

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Molti senatori dell’impero provenivano dalla Gallia, Spagna, Africa ed Asia e furono naturalizzati dopo pochissimo tempo. Anche Augusto Settimio Severo era originario da Leptis Magna in Tripolitania, ma anche dopo essere stato incoronato, non era mai riuscito a sbarazzarsi del suo accento semita-punico.

Cosi Roma era diventata il crocevia d’incontro tra i nativi romani con altri popoli da loro giudicati inferiori ed ai quali le leggi dello Stato cercavano di opporre solo un leggero sbarramento per cercare di amalgamare dei popoli cosi differenti gli uni dagli altri. Roma era diventata una vera Torre di Babele, nella quale tutta la popolazione stava cercando non soltanto d’imparare a parlare ma anche a pensare in latino, dimenticando le loro proprie origini: questa era per loro l’unica via d’uscita per riuscire ad ottenere una eventuale integrazione.

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Diocleziano 284-305 d.c.

Per quello che riguarda la sicurezza, durante il tardo impero, a partire da tempi di Diocleziano, l’Urbe era entrata a fare parte dell’Amministrazione Provinciale, anche se la città di Roma, continuava a sottrarsi al governo centrale, cercando di dipendere esclusivamente dai suoi imperatori.

Augusto aveva delegato per la sua città, un prefetto urbano incaricato di rappresentarlo, tale prefettura sopravvisse per tutto il tardo impero e Costanzo II avevo cercato di applicare anche a Costantinopoli quel modello romano di prefettura.

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Nel 359, il prefetto era un personaggio importante che aveva una posizione invidiabile, nominato dagli imperatori per una durata di tempo indeterminato, ma in pratica quel periodo era sempre inferiore a due anni, i mandati erano brevi ma potevano essere reiterati dopo un certo intervallo di tempo. Alla fine del V secolo, Specioso fu chiamato ben tre volte a dirigere la prefettura e questo funzionario aveva esercitato la sua competenza sulle quattordici circoscrizioni della città e sui porti di Roma e Ostia, compresa tutta la zona che circondava la città per 100 miglia, sottraendo cosi tutto questo territorio alla giurisdizione dei governatori delle province limitrofe. Ma alla fine del V secolo, l’indebolimento del potere imperiale in Occidente riportò il prefetto sotto l’autorità del Pretorio di Ravenna.

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Giustiniano a Ravenna

Il prefetto urbano, che doveva essere scelto tra i senatori di alto rango, era responsabile dell’ordine pubblico in città e nel circondario delle 100 miglia che abbiamo già citato. Disponeva di una polizia composta da tre Coorti Urbane ed aveva il compito di emettere e fare rispettare le leggi dello Stato. Svolgeva anche il compito di giudice ed era responsabile dell’approvvigionamento dell’Urbe, dei porti di Roma e dei lavori pubblici, come quello del drenaggio del Tevere e la pulizia delle sorgenti e dei corsi d’acqua che alimentavano gli acquedotti, come anche le riparazioni da effettuare sulle botteghe e monumenti di Roma. Le iscrizioni che ci sono pervenute attestano che faceva spesso riparare e spostare le statue all’interno dell’Urbe ed anche fare sorvegliare i cimiteri per evitare la violazione delle sepolture.

La popolazione studentesca della città e le corporazioni dei vari mestieri erano sottoposti al suo totale controllo. A partire dall’epoca Augustea, furono istituiti altri due prefetti: il prefetto dell’Annona, incaricato dell’approvvigionamento della Città e che aveva anche il compito di sorvegliare il trasporto dei carichi annonari fino ai magazzini romani ed il Prefetto Urbano che era responsabile della prefettura dei Vigili incaricati della polizia notturna e della lotta contro gli incendi. Erano gli agenti di questi uffici, che a partire dai tempi di Costantino, garantivano l’ordine pubblico in città e durante il giorno. La lotta contro il fuoco fu invece affidata ai membri delle corporazioni artigianali.

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Costantino

Quando succedeva qualche ritardo nell’arrivo e la distribuzione delle derrate alimentari, la popolazione romana prendeva di mira il prefetto urbano che cosi rischiava l’impopolarità, mettendo a rischio la sua carriera. La popolazione romana era costituita dalla presenza in città di varie decine di migliaia di persone prive di introiti regolari che per la loro sopravvivenza, dipendevano dalla distribuzione gratuita delle derrate essenziali.

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Il Lazio e le altre regioni non erano in grado di nutrire tutta la plebe raccolta in città, cosi le autorità dovevano ricorrere a delle importazioni massicce di cereali, carne e vino per evitare di scatenare delle pericolose sommosse, infatti la regolarità delle importazioni e distribuzione dei viveri costituivano la garanzia dell’ordine sociale. Nella Roma del tardo Impero, ogni anno erano nominati dei questori, prefetti e consoli, ma spesso queste cariche erano essenzialmente onorifiche ed imponevano ai titolari di fare fronte a delle spese enormi, ma servivano anche all’ascesa sociale e politica dei candidati scelti. Cosi a partire dalla metà del V secolo, le magistrature erano tutte capeggiate solo dai figli di Romani illustri.

Edited by ONIDINO - 27/9/2022, 23:59
 
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view post Posted on 11/3/2018, 23:21     +1   +1
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;) esaustivo come sempre grazie ;)
 
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