Papa Pio XI - 75
o Anniversario dell'apparizione della Madonna di Lourdes
Papa Pio XI (in latino: Pius PP. XI, nato Achille Ambrogio Damiano Ratti; Desio, 31 maggio 1857 – Città del Vaticano, 10 febbraio 1939) è stato il 259º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1922 alla sua morte. Dal 1929 fu il 1º sovrano del nuovo Stato della Città del Vaticano.
Biografia
Nato il 31 maggio 1857, a Desio, nella casa che attualmente è sede del Museo Casa Natale Pio XI e del "Centro Internazionale di Studi e Documentazione Pio XI" (al civico 4 di via Pio XI, all'epoca via Lampugnani). Quarto di cinque figli, viene battezzato il giorno dopo la nascita, nella prepositurale dei Santi Siro e Materno col nome di Achille Ambrogio Damiano Ratti (il nome Ambrogio in onore del nonno paterno, suo padrino di battesimo). Il padre Francesco fu attivo - con non molto successo come attestato dai continui trasferimenti - quale direttore in vari stabilimenti per la lavorazione della seta, mentre la madre Teresa Galli, originaria di Saronno, era la figlia di un albergatore. Avviato alla carriera ecclesiastica dall'esempio dello zio Don Damiano Ratti, Achille studiò a partire dal 1867 nel seminario di Seveso, poi in quello di Monza, attualmente sede del Liceo Ginnasio Bartolomeo Zucchi. Si prepara per la maturità presso il Collegio San Carlo e supera gli esami presso il Liceo Parini. Dal 1874 fece parte dell'ordine terziario francescano. Nel 1875 inizia gli studi teologici; i primi tre anni nel Seminario Maggiore di Milano e l'ultimo nel Seminario di Seveso. Nel 1879 è a Roma presso il Collegio Lombardo. Fu ordinato sacerdote il 20 dicembre 1879 a Roma dal cardinale Raffaele Monaco La Valletta.
Studi
Frequentò assiduamente biblioteche e archivi, in Italia e all'estero. Fu dottore della Biblioteca Ambrosiana e dall'8 marzo 1907 prefetto della stessa biblioteca.
Intraprese studi di vasta portata: gli Acta Ecclesiae Mediolanensis, la collezione completa degli atti dell'arcidiocesi di Milano, di cui pubblicò i volumi II, III e IV rispettivamente nel 1890, nel 1892 e nel 1897 e il Liber diurnus Romanorum Pontificum, una collezione di formule utilizzate nei documenti ecclesiastici. Scoprì anche la biografia più antica di sant'Agnese di Boemia e per studio soggiornò a Praga, e a Savona, casualmente, scoprì gli atti di un concilio provinciale milanese del 1311, di cui si era persa memoria.
Ratti fu uomo di vasta erudizione, ottenne infatti tre lauree nei suoi anni di studio romani: in filosofia all'Accademia di San Tommaso d'Aquino di Roma, in diritto canonico alla Università Gregoriana e teologia all'Università La Sapienza. Aveva inoltre una forte passione sia per gli studi letterari, dove preferiva Dante e Manzoni, sia per gli studi scientifici, tanto che era stato in dubbio se intraprendere lo studio della matematica; a tal proposito fu grande amico e, per un certo periodo collaboratore di don Giuseppe Mercalli, noto geologo e creatore dell'omonima scala dei terremoti, che aveva conosciuto come insegnante nel seminario di Milano.
Educatore
Ratti fu anche un valido educatore, non solo nell'ambito scolastico. Dal 1878 fu professore di matematica al seminario minore.
Mons. Ratti, che aveva studiato l'ebraico al corso del seminario arcivescovile e aveva approfondito gli studi con il rabbino capo di Milano Alessandro Da Fano, divenne docente di ebraico in seminario nel 1907 e mantenne l'incarico per tre anni. Come docente portava i suoi allievi nella Sinagoga di Milano, affinché familiarizzassero con l'ebraico orale, iniziativa ardita che era inusuale nei seminari.
Come cappellano del Cenacolo di Milano, una comunità religiosa dedita all'educazione delle ragazze (incarico tenuto dal 1892 al 1914), ebbe modo di esercitare un'attività pastorale ed educativa molto efficace, entrando in contatto con fanciulle e ragazze di ogni stato e condizione, ma soprattutto con la buona società milanese: i Gonzaga, i Castiglione, i Borromeo, i Della Somaglia, i Belgioioso, i Greppi, i Thaon di Revel, gli Jacini, gli Osio, i Gallarati Scotti.
Questo ambiente era attraversato da opinioni diverse: alcune famiglie erano più vicine alla monarchia e al cattolicesimo liberale, altre erano intransigenti, in linea con l'Osservatore Cattolico di don Davide Albertario. Pur non manifestando un'esplicita simpatia per nessuna delle due correnti, il giovane don Ratti ebbe rapporti assai stretti con i Gallarati Scotti, che erano intransigenti; fu catechista e precettore del giovane Tommaso Gallarati Scotti, figlio di Gian Carlo, principe di Molfetta, e di Maria Luisa Melzi d'Eril, che in seguito diventerà un noto diplomatico e scrittore.
Le tensioni tra cattolici liberali e intransigenti erano comuni nell'ambiente cattolico dell'epoca, basti ricordare che Achille Ratti aveva ricevuto la tonsura e il diaconato dall'arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana, il protagonista della crisi che porta il suo nome. Fra i suoi educatori ebbe don Francesco Sala, che teneva il corso di teologia dogmatica sulla base di un rigoroso tomismo e don Ernesto Fontana, che insegnava teologia morale con posizioni antirosminiane. In questo ambiente don Ratti sviluppò una tendenza antiliberale, che espresse ad esempio nel 1891 in occasione di una conversazione informale con il cardinal Gruscha, arcivescovo di Vienna: «Il vostro paese ha la fortuna di non essere dominato da un liberalismo anticlericale, né da uno Stato che cerca di legare la Chiesa con catene di ferro».
Dopo il 1904 Tommaso Gallarati Scotti divenne rappresentante del modernismo, la dottrina secondo cui sarebbe necessario un «adattamento del Vangelo alla condizione mutevole dell'umanità» e nel 1907 fondò la rivista Il Rinnovamento. Mentre papa Pio X pubblicava l'enciclica Pascendi che condannava il modernismo, mons. Ratti cercava di mettere in guardia l'amico, fungendo da mediatore e correndo il rischio di attirarsi i sospetti degli antimodernisti intransigenti. Tommaso Gallarati Scotti aveva già deciso di dimettersi dalla rivista, quando fu colpito dalla scomunica. La Santa Sede indagò sulla responsabilità dell'arcivescovo Andrea Carlo Ferrari in merito alla diffusione delle idee moderniste nella sua arcidiocesi e mons. Ratti lo dovette difendere davanti al papa e al cardinale Gaetano De Lai.
Alpinista
Ratti fu pure un appassionato alpinista: scalò diverse vette delle Alpi e fu il primo - il 31 luglio 1889 - a raggiungere la cima del Monte Rosa dalla parete orientale; il 7 agosto 1889 scala il Monte Cervino, e a fine luglio 1890 il Monte Bianco, aprendo la via successivamente chiamata "Via Ratti - Grasselli". Papa Ratti fu un assiduo e appassionato frequentatore del gruppo delle Grigne e per molti anni, a cavallo dei due secoli, fu ospite della parrocchia di Esino Lario, base logistica delle sue escursioni. Le ultime scalate del futuro Papa risalgono al 1913. Per l'intero periodo Ratti fu membro, collaboratore e redattore di articoli per il Club Alpino Italiano. Lo stesso Ratti disse dell'alpinismo che "non fosse cosa da scavezzacolli, ma al contrario tutto e solo questione di prudenza, e di un po' di coraggio, di forza e di costanza, di sentimento della natura e delle sue più riposte bellezze". Appena eletto papa, l'Alpine Club di Londra cooptò Pio XI come proprio socio, motivando tale invito con le tre ascensioni alle più alte cime alpine (l'invito fu declinato, pur con il ringraziamento del papa).
Ratti, nel 1899, ebbe un colloquio con il famoso esploratore Luigi d'Aosta Duca degli Abruzzi per partecipare alla spedizione al Polo Nord che il Duca stava organizzando. Ratti non venne preso, si dice, perché un sacerdote, per quanto eccellente alpinista, avrebbe intimidito gli altri compagni di viaggio, rudi uomini di mare e montagna.
Nel 1935, venendo meno al rigido protocollo dello Stato Vaticano, durante la cerimonia d'inaugurazione della Scuola centrale militare di alpinismo di Aosta, inviò un telegramma di felicitazioni.
Carriera ecclesiastica
La profonda competenza negli studi portò Ratti all'attenzione di papa Leone XIII. Nel giugno 1891 e nel 1893 fu così invitato a partecipare ad alcune missioni diplomatiche al seguito di monsignor Giacomo Radini-Tedeschi in Austria e in Francia. Ciò avvenne su segnalazione dello stesso Radini-Tedeschi, il quale aveva studiato con Ratti presso il Pontificio Seminario Lombardo di Roma.
Nel 1888 entrò a far parte del collegio dei dottori della Biblioteca Ambrosiana, per diventarne prefetto nel 1907. Il 6 marzo 1907 fu nominato prelato di Sua Santità con il titolo di monsignore.
Intanto nel 1894 era entrato a far parte degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo, un istituto di sacerdoti secolari profondamente milanese, radicato nella spiritualità di san Carlo Borromeo e sant'Ignazio di Loyola. Agli esercizi spirituali ignaziani don Ratti resterà sempre legato, ad esempio mediterà gli esercizi del 1908, del 1910 e del 1911 presso i gesuiti di Feldkirch, in Austria.
Chiamato da Pio X a Roma, è dapprima, l'8 novembre 1911, viceprefetto con diritto di successione, e successivamente, il 27 settembre 1914, regnante Benedetto XV, prefetto della Biblioteca Vaticana.
Missione in Polonia
Nel 1918 papa Benedetto XV lo nominò visitatore apostolico per la Polonia e la Lituania e successivamente, nel 1919, nunzio apostolico (cioè rappresentante diplomatico presso la Polonia) e all'età di 62 anni fu elevato al rango di arcivescovo con il titolo di Lepanto. Scelse come suo segretario don Ermenegildo Pellegrinetti, dottore in teologia e diritto canonico e soprattutto poliglotta, che tenne un diario della missione in Polonia di mons. Ratti.
La sua missione lo portò ad affrontare la difficile situazione verificatasi con l'invasione sovietica nell'agosto del 1920 per i problemi creati dalla formulazione dei nuovi confini dopo la I Guerra Mondiale. Ratti chiese a Roma di restare a Varsavia prossima all'assedio ma Benedetto XV, temendo per la sua vita, gli ordinò di raggiungere il governo polacco in esilio, cosa che fece dopo che si erano ritirate tutte le altre postazioni diplomatiche. Fu in seguito nominato Alto Commissario ecclesiastico per il plebiscito nell'Alta Slesia, plebiscito che si doveva svolgere tra la popolazione per scegliere fra l'adesione alla Polonia o alla Germania. Nella regione era forte la presenza del clero tedesco (sostenuto dall'arcivescovo di Breslavia cardinale Bertram), che spingeva per il ricongiungimento con la Germania. Il governo polacco, allora, chiese al Papa di nominare un rappresentante ecclesiastico che fosse al di sopra delle parti, in grado di garantire l'imparzialità in occasione del plebiscito.
Il compito specifico di Ratti, infatti, era quello di richiamare alla concordia il clero tedesco e quello polacco e, tramite costoro, la popolazione tutta. Avvenne però che l'arcivescovo Bertram vietò ai sacerdoti stranieri della sua arcidiocesi (in pratica i polacchi) di prendere parte al dibattito sul plebiscito. Inoltre Bertram fece sapere di avere avuto l'appoggio della Santa Sede: il Segretario di Stato, cardinale Gasparri, aveva dato l'appoggio a Bertram e al clero tedesco, senza informare però Ratti. Non solo Ratti dovette subire questo sgarbo, ma vide scatenarsi contro di lui la stampa polacca, che lo accusava, ingiustamente, di essere filotedesco. Fu pertanto richiamato a Roma e il 4 giugno 1921 Ratti lasciò la Polonia.
Un suo successo fu ottenere la liberazione di Eduard von der Ropp, arcivescovo di Mahilëŭ, arrestato dalle autorità sovietiche nell'aprile del 1919 con l'accusa di attività controrivoluzionaria e rilasciato nell'ottobre dello stesso anno. Nei primi mesi del 1920 compì un lungo viaggio diplomatico in Lituania, recandosi in pellegrinaggio nei luoghi più cari ai cattolici lituani, e in Lettonia. In quest'ultimo Stato gettò le basi del futuro concordato, che sarà il primo concordato da lui concluso dopo l'ascesa al pontificato. Si occupò anche della diocesi di Riga, da poco ristabilita, che subiva una grande penuria di clero e l'assenza di ordini religiosi; si progettava anche l'elevazione ad arcidiocesi.
Tuttavia nell'ottobre 1921, una volta divenuto arcivescovo di Milano, dall'Università di Varsavia ricevette la laurea honoris causa in teologia. In questo periodo nel cardinale Ratti probabilmente si venne a formare la convinzione che il pericolo principale dal quale la Chiesa cattolica si doveva difendere fosse il bolscevismo. Di qui la cifra che spiega il suo operato successivo: la sua politica sociale volta a contendere le masse al comunismo e ai nazionalismi.
Arcivescovo di Milano e cardinale
Nel concistoro del 13 giugno 1921 Achille Ratti fu nominato arcivescovo di Milano e lo stesso giorno fu creato cardinale del titolo dei Santi Silvestro e Martino ai Monti.
Prese possesso dell'arcidiocesi l'8 settembre. Nel suo breve episcopato dispose che il Catechismo di Pio X dovesse essere l'unico usato nell'arcidiocesi, inaugurò l'Università Cattolica del Sacro Cuore e iniziò la fase diocesana della causa di canonizzazione di padre Giorgio Maria Martinelli, il fondatore degli Oblati di Rho.
Pontificato
Encicliche
La sua prima enciclica Ubi arcano Dei consilio, del 23 dicembre 1922, manifestò il programma del suo pontificato, peraltro ben riassunto nel suo motto "pax Christi in regno Christi", la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Detto altrimenti, a fronte della tendenza a ridurre la fede a questione privata, papa Pio XI pensava invece che i cattolici dovessero operare per creare una società totalmente cristiana, nella quale Cristo regnasse su ogni aspetto della vita. Egli intendeva dunque costruire una nuova cristianità che, rinunciando alle forme istituzionali dell'Ancien Régime, si sforzasse di muoversi nel seno della società contemporanea. Nuova cristianità che soltanto la Chiesa cattolica costituita da Dio e interprete delle verità rivelate era in grado di promuovere.
Questo programma fu completato dalle encicliche Quas primas (11 dicembre 1925), con la quale fu pure istituita la festa di Cristo Re e Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928), sul culto del Sacro Cuore.
In campo morale, le sue encicliche più importanti sono ricordate come le "quattro colonne". Nella Divini Illius Magistri del 31 dicembre 1929 sancisce il diritto della famiglia di educare i figli, come diritto originario e anteriore a quello dello Stato. Nella Casti Connubii del 31 dicembre 1930 ribadisce la dottrina tradizionale il sacramento del matrimonio: i primi doveri degli sposi devono essere la reciproca fedeltà, il mutuo e caritatevole amore e la retta e cristiana educazione della prole. Dichiarò moralmente illecita l'interruzione di gravidanza mediante aborto e, all'interno delle relazioni coniugali, ogni rimedio per evitare la procreazione. In campo sociale intervenne con l'enciclica Quadragesimo Anno, che celebrava il quarantesimo anniversario della Rerum Novarum di papa Leone XIII, insegnando che «per evitare l'estremo dell'individualismo da una parte, come del socialismo dall'altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro». Questi tre temi, educazione cristiana, matrimonio e dottrina sociale, sono riassunti nell'enciclica Ad Catholici Sacerdotii del 20 dicembre 1935 sul sacerdozio cattolico «Il sacerdote è, per vocazione e mandato divino, il precipuo apostolo e l'indefesso promotore dell'educazione cristiana della gioventù; il sacerdote in nome di Dio benedice il matrimonio cristiano e ne difende la santità ed indissolubilità contro gli attentati e le deviazioni suggerite dalla cupidigia e dalla sensualità; il sacerdote porta il più valido contributo alla soluzione o almeno alla mitigazione dei conflitti sociali, predicando la fratellanza cristiana, a tutti ricordando i mutui doveri della giustizia e della carità evangelica, pacificando gli animi inaspriti dal disagio morale ed economico, additando ai ricchi e ai poveri gli unici beni a cui tutti possono e devono aspirare».
Trattò della natura della Chiesa nell'enciclica Mortalium Animos del 6 gennaio 1928, ribandendo l'unità della Chiesa sotto la guida del Romano Pontefice:
« In quest'unica Chiesa di Cristo nessuno si trova, nessuno vi resta senza riconoscere e accettare, con l'ubbidienza, la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. »
Esponendo che l'unità della Chiesa non possa avvenire a danno della fede, auspica il ritorno alla Chiesa cattolica dei cristiani separati. Invece vieta la partecipazione dei cattolici ai tentativi di stabilire una Chiesa pancristiana, per non dare «autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall'unica Chiesa di Cristo».
Secondo Roger Aubert con le sue encicliche Pio XI aveva elaborato una «teologia per la vita», trattando i grandi problemi di ordine morale e sociale.
Canonizzazioni e beatificazioni
Papa Pio XI procedette a numerose beatificazioni e canonizzazioni, per un totale di 496 beati e 33 santi, fra cui Bernadette Soubirous, Giovanni Bosco, Teresa di Lisieux, Giovanni Maria Vianney e Antonio Maria Gianelli. Egli nominò pure quattro nuovi dottori della Chiesa: Pietro Canisio, Giovanni della Croce, Roberto Bellarmino e Alberto Magno. In particolare procedette alla beatificazione di 191 martiri, vittime della Rivoluzione francese, che definì "una perturbazione universale durante la quale furono affermati, con tanta arroganza, i diritti dell'uomo".
In campo politico
Pio XI normalizzò i rapporti con lo Stato italiano grazie ai Patti Lateranensi (Trattato e Concordato) dell'11 febbraio 1929, che ponevano fine alla cosiddetta "Questione Romana" e facevano tornare regolari i rapporti fra l'Italia e la Santa Sede. Il 7 giugno, a mezzogiorno, nasceva il nuovo Stato della Città del Vaticano, di cui il Sommo Pontefice era sovrano assoluto. Nello stesso periodo furono creati diversi Concordati con varie Nazioni europee.
Non pregiudizialmente ostile a Mussolini, Achille Ratti limitò fortemente l'azione del Partito popolare favorendone lo scioglimento, e rinnegò ogni tentativo di Sturzo di ricostituire il partito. Ebbe però ad affrontare controversie e scontri con il fascismo a causa dei tentativi del regime di egemonizzare l'educazione della gioventù e per le ingerenze del regime nella vita della Chiesa. Emise l'enciclica Quas Primas dove veniva stabilita la festa di Cristo Re a ricordare il diritto della religione a pervadere tutti i campi della vita quotidiana: dallo Stato, all'economia, all'arte. Per richiamare i laici ad un maggiore coinvolgimento religioso, nel 1923 venne riorganizzata l'Azione Cattolica (di cui disse "questa è la pupilla dei miei occhi").
In campo missionario, si batté per l'integrazione con le culture locali invece dell'imposizione di una cultura occidentale. Pio XI fu estremamente critico anche con il ruolo passivo tenuto in campo sociale dal capitalismo. Nella sua enciclica Quadragesimo Anno del 1931 richiamò l'urgenza delle riforme sociali già indicate quaranta anni prima da papa Leone XIII, inoltre ribadì la condanna del liberalismo e di ogni forma di socialismo.
Economia
Pio XI ritornò più volte nell'enciclica sul legame fra moneta, economia e potere. Nell'enciclica Quadragesimus annus affermò:
« Nel nostro tempo è ormai evidente che la ricchezza e un immenso potere sono stati concentrati nelle mani di pochi uomini. Questo potere diventa particolarmente irresistibile se esercitato da coloro i quali, poiché controllano e comandano la moneta, sono anche in grado di gestire il credito e di decidere a chi deve essere assegnato. In questo modo forniscono il sangue vitale all'intero corpo dell'economia. Loro hanno potere sull'intimo del sistema produttivo, così che nessuno può azzardare un respiro contro la loro volontà. »
(Papa Pio XI, Quadragesimus Annus 106-9, 1931)
Nell'enciclica Divini Redemptoris Pio XI sviluppa riflessioni abbastanza consuete sulla necessità della sopportazione e della pazienza da parte dei poveri, che devono stimare più i beni spirituali che i beni e i godimenti terreni. E sui ricchi come amministratori di Dio, che devono dare ai poveri quello che loro avanza:
« I ricchi non devono porre nelle cose della terra la loro felicità né indirizzare al conseguimento di quelle i loro sforzi migliori; ma, considerandosene solo come amministratori che sanno di doverne rendere conto al supremo Padrone, se ne valgano come di mezzi preziosi che Dio loro porge per fare del bene; e non lascino di distribuire ai poveri quello che loro avanza, secondo il precetto evangelico. »
(Papa Pio XI, Divini Redemptoris, 44-45, 1937)
Risoluzione della questione romana
Il primo segno di apertura Pio XI lo aveva manifestato immediatamente dopo l'elezione. Il novello pontefice - contrariamente ai suoi immediati predecessori Leone XIII, San Pio X e Benedetto XV - decise di affacciarsi alla loggia esterna della Basilica Vaticana, cioè su piazza San Pietro, sia pur senza dire nulla, limitandosi a benedire la folla presente, mentre i fedeli di Roma gli rispondevano con applausi e grida di gioia. Il gesto "dovuto", ma che si verificava dopo i fatti del 20 settembre 1870, era da considerare di portata storica; ciò accadeva perché Pio XI era convinto che la fine del potere temporale, sia pure in maniera "violenta" era, per la missione della Chiesa nel mondo, la liberazione dalle catene delle passioni umane.
La Questione romana incontrava non solo le preoccupazioni e le speranze dei cattolici in Italia, ma anche di tutti i cattolici del mondo, tanto da indurre zelanti sacerdoti, peraltro missionari, come per esempio don Luigi Orione, a prendere iniziative personali e scrivere più volte al capo del governo fascista Benito Mussolini; altri sacerdoti intervennero con propri studi presso la Segreteria di Stato Vaticana, nella persona del delegato del papa, cardinale Pietro Gasparri.
L'11 febbraio 1929 il papa fu l'artefice della firma dei Patti Lateranensi tra il cardinale Pietro Gasparri e il governo fascista di Benito Mussolini. Il 13 febbraio 1929 pronunciò un discorso agli studenti e ai docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che passò alla storia per una definizione, secondo cui Mussolini sarebbe stato «un uomo [...] che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare»:
« Le condizioni dunque della religione in Italia non si potevano regolare senza un previo accordo dei due poteri, previo accordo a cui si opponeva la condizione della Chiesa in Italia. Dunque per far luogo al Trattato dovevano risanarsi le condizioni, mentre per risanare le condizioni stesse occorreva il Concordato. E allora? La soluzione non era facile, ma dobbiamo ringraziare il Signore di averCela fatta vedere e di aver potuto farla vedere anche agli altri. La soluzione era di far camminare le due cose di pari passo.
E così, insieme al Trattato, si è studiato un Concordato propriamente detto e si è potuto rivedere e rimaneggiare e, fino ai limiti del possibile, riordinare e regolare tutta quella immensa farragine di leggi tutte direttamente o indirettamente contrarie ai diritti e alle prerogative della Chiesa, delle persone e delle cose della Chiesa; tutto un viluppo di cose, una massa veramente così vasta, così complicata, così difficile, da dare qualche volta addirittura le vertigini. E qualche volta siamo stati tentati di pensare, come lo diciamo con lieta confidenza a voi, sì buoni figliuoli, che forse a risolvere la questione ci voleva proprio un Papa alpinista, un alpinista immune da vertigini ed abituato ad affrontare le ascensioni più ardue; come qualche volta abbiamo pensato che forse ci voleva pure un Papa bibliotecario, abituato ad andare in fondo alle ricerche storiche e documentarie, perché di libri e documenti, è evidente, si è dovuto consultarne molti. Dobbiamo dire che siamo stati anche dall'altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi.
E con la grazia di Dio, con molta pazienza, con molto lavoro, con l'incontro di molti e nobili assecondamenti, siamo riusciti « tamquam per medium profundam eundo » a conchiudere un Concordato che, se non è il migliore di quanti se ne possono fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti; ed è con profonda compiacenza che crediamo di avere con esso ridato Dio all'Italia e l'Italia a Dio. »
(Pio XI, allocuzione Vogliamo anzitutto)
Malgrado questo, nella sua enciclica Non Abbiamo Bisogno di due anni dopo, Pio XI definì il fascismo, il cui fondatore era notoriamente Mussolini, come «statolatria pagana». La Santa Sede con la firma un concordato con uno Stato non necessariamente ne approva la politica, come confermato ad esempio da Pio XII nella sua allocuzione nel concistoro del 2 giugno 1945 (AAS 37 pag. 152) a riguardo del nazismo.
Già nel 1922, prima della sua elezione a Papa nel febbraio dello stesso anno, in occasione di un'intervista concessa al giornalista francese Luc Valti (pubblicata integralmente nel 1937 su L'illustration), il cardinale Achille Ratti aveva dichiarato a proposito di Mussolini:
« Quell'uomo, ragazzo mio, fa rapidi progressi, e invaderà tutto con la forza di un elemento naturale. Mussolini è un uomo formidabile. Mi ha capito bene? Un uomo formidabile! Convertito di recente, poiché viene dall'estrema sinistra, ha lo zelo dei novizi che lo fa agire con risolutezza. E poi, recluta gli adepti sui banchi di scuola e in un colpo solo li innalza fino alla dignità di uomini, e di uomini armati. Li seduce così, li fanatizza. Regna sulla loro immaginazione. Si rende conto di che cosa significhi e che forza gli fornisca? Il futuro è suo. Bisognerà però vedere come tutto questo andrà a finire e che uso farà della sua forza. Che orientamento avrà, il giorno in cui dovrà scegliere di averne uno? Resisterà alla tentazione, che insidia tutti i capi, di ergersi a dittatore assoluto?. »
Nell'agosto 1923 Ratti confidò all'ambasciatore del Belgio che Mussolini “non è certo Napoleone, e forse neppure Cavour. Ma lui solo ha compreso di che cosa il suo paese abbia bisogno per uscire dall'anarchia in cui un parlamentarismo impotente e tre anni di guerra l'hanno gettato. Voi vedete come abbia trascinato con sé la Nazione. Possa essergli concesso di portare l'Italia alla sua rinascita”.
Il 31 ottobre 1926 l'adolescente Anteo Zamboni aveva sparato a Mussolini, a Bologna, mancando il bersaglio. Papa Ratti intervenne condannando «tale criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio del suo fallimento». L'anno successivo Pio XI esaltò Mussolini come l'uomo «il quale con tanta energia governa le sorti del paese, da fare giustamente ritenere pericolare il paese stesso ogni qualvolta pericola la sua persona. Il pronto e quasi visibile intervento della Divina Provvidenza faceva sì che quella prima tempesta poté subito venir sorpassata da un vero uragano di giubilo, di rallegramenti, di azioni di grazie, per lo scampato pericolo per la perfetta, e, si può ben dire, portentosa incolumità di chi ne doveva essere la vittima», esprimendo altresì «indignazione e orrore» per l'attentato.
Con i Patti Lateranensi, stipulati nel palazzo di San Giovanni in Laterano e costituiti da due atti distinti (Trattato e Concordato), veniva messa la parola fine alla freddezza e ostilità fra i due poteri, durate per cinquantanove anni. Con lo storico trattato veniva data alla Santa Sede la sovranità sullo Stato della Città del Vaticano, riconoscendolo come soggetto di diritto internazionale, in cambio dell'abbandono da parte della Santa Sede di pretese territoriali sul precedente Stato Pontificio; mentre la Santa Sede riconosceva il Regno d'Italia con la capitale a Roma. A compensazione delle perdite territoriali e come supporto nel periodo transitorio, il governo garantiva (Convenzione finanziaria, allegata al Trattato) un trasferimento di denaro consistente in 750 milioni di lire in contanti e di un miliardo in titoli di Stato al 5 per cento che, investito da Bernardino Nogara sia in immobili sia in attività produttive, pose le basi per l'attuale struttura economica del Vaticano.
Il trattato richiamava inoltre l'articolo 1 dello Statuto Albertino, riaffermando la religione cattolica come la sola religione dello Stato. I Patti Lateranensi imponevano ai vescovi di giurare fedeltà allo Stato italiano, ma stabilivano alcuni privilegi per la Chiesa cattolica: al matrimonio religioso venivano riconosciuti effetti civili e le cause di nullità ricadevano sotto i tribunali ecclesiastici; l'insegnamento della dottrina cattolica, definita “fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica”, diventava obbligatorio nelle scuole elementari e medie; i preti spretati o colpiti da censura ecclesiastica non potevano ottenere o conservare alcun impiego pubblico nello Stato italiano. Per il regime fascista i Patti Lateranensi costituirono una preziosa legittimazione.
In segno di riconciliazione, nel luglio successivo, il papa uscì in processione eucaristica solenne in piazza San Pietro. Un avvenimento del genere non accadeva dai tempi di Porta Pia. La prima uscita dal territorio della Città del Vaticano avvenne invece il 21 dicembre dello stesso anno quando, di primissima mattina, il pontefice si recò, scortato da poliziotti italiani in bicicletta, alla basilica di San Giovanni in Laterano, per prendere ufficialmente possesso della sua cattedrale. Nel 1930 - a un anno di distanza dalla firma dei Patti Lateranensi - l'anziano cardinal Pietro Gasparri si dimise, venendo sostituito dal cardinale Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII.
Questione messicana
Un'altra spina per papa Ratti fu rappresentata dalla politica fortemente anticlericale del governo messicano. Già nel 1914 si iniziarono vere persecuzioni nei confronti del clero e fu proibito ogni culto religioso (conseguentemente furono chiuse anche le scuole cattoliche). La situazione peggiorò nel 1917 sotto la presidenza di Venustiano Carranza. Nel 1922 il nunzio apostolico fu espulso dal Messico. Le persecuzioni contro i cristiani portarono alla rivolta dei "cristeros" il 31 luglio 1926 a Oaxaca. Nel 1928 si sancì un accordo che riammetteva il culto cattolico, ma non essendo stati rispettati i termini dell'accordo Pio XI condannò tali misure nel 1933 con l'enciclica Acerba Animi. Rinnovò la condanna nel 1937 con l'enciclica Firmissimam Constantiam.
Rapporti con il mondo della scienza
Appassionato delle scienze fin dalla gioventù e attento osservatore dello sviluppo tecnologico, fondò la Radio Vaticana avvalendosi della collaborazione di Guglielmo Marconi, modernizzò la Biblioteca Vaticana e ricostituì con la collaborazione di padre Agostino Gemelli nel 1936 la Pontificia Accademia delle Scienze, ammettendovi anche personalità non cattoliche e pure non credenti.
Fu interessato ai nuovi mezzi di comunicazione: fece installare una nuova centralina telefonica in Vaticano e sebbene personalmente si servisse poco del telefono, fu uno dei primi utilizzatori della telecopia, un'invenzione del francese Édouard Belin che permetteva di trasmettere fotografie a distanza attraverso la rete telefonica o telegrafica. Nel 1931 in risposta ad un messaggio scritto e ad una fotografia inviategli da Parigi dal cardinale Verdier inviò una sua fotografia appena scattata.
L'utilizzo che fece della radio fu invece più frequente, sebbene non molti riuscissero ad intendere i suoi messaggi radiofonici, di norma pronunciati in latino.
Concistori per la creazione di nuovi cardinali
Papa Pio XI durante il suo pontificato ha creato 76 cardinali nel corso di 17 distinti concistori.
Morte e discorso scomparso
Nel febbraio 1939 Pio XI convocò a Roma tutto l'episcopato italiano in occasione del I decennale della "conciliazione" con lo Stato Italiano, del XVII anno del suo pontificato e il 60º anno del suo sacerdozio. Nei giorni 11 e 12 febbraio egli avrebbe pronunciato un importante discorso, preparato da mesi, che sarebbe stato il suo testamento spirituale e dove, probabilmente, avrebbe denunciato la violazione dei Patti Lateranensi da parte del governo fascista e le persecuzioni razziali in Germania. Tale discorso è rimasto segreto fino al pontificato di papa Giovanni XXIII quando nel 1959 vennero pubblicate alcune parti. Egli infatti morì per un attacco cardiaco dopo una lunga malattia, nella notte del 10 febbraio 1939. È ormai assodato che il testo del discorso fu fatto distruggere per ordine di Pacelli, al tempo Cardinal Segretario di Stato e responsabile di gestire il Vaticano nell'attesa della nomina di un nuovo papa.
Nel settembre 2008, un congresso organizzato a Roma dalla Pave The Way Foundation sull'operato di Pio XII nei confronti degli ebrei ha riportato la questione dei rapporti tra il Vaticano e le dittature totalitarie nell'interesse dei media. Un'ex dirigente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, Bianca Penco (vicepresidente della federazione tra il 1939 e il 1942 e presidente nazionale insieme a Giulio Andreotti e Ivo Murgia tra il 1942 e il 1947), ha rilasciato un'intervista al Secolo XIX in cui parla della questione. Secondo il racconto della Penco, Pio XI avrebbe ricevuto alcuni esponenti di spicco della federazione nel febbraio del 1939, annunciando a questi che aveva preparato un discorso che era intenzionato a tenere l'11 febbraio, in occasione del decennale del Concordato: questo discorso sarebbe stato critico nei confronti del nazismo e del fascismo, e avrebbe anche contenuto riferimenti alle persecuzioni dei cristiani che in quegli anni avvenivano in Germania.
Il papa, secondo l'intervista, avrebbe dovuto anche annunciare un'enciclica contro l'antisemitismo, intitolata Humani generis unitas. Ma Achille Ratti morì la notte prima, il 10 febbraio e Pacelli, al tempo Cardinal Segretario di Stato e dopo poco meno di un mese eletto al pontificato come papa Pio XII, avrebbe deciso di non divulgare il contenuto di questi documenti. La Penco afferma anche che dopo la morte di papa Ratti, alle richieste dei rappresentanti della FUCI di avere informazioni sul destino del discorso che avevano potuto osservare in anteprima, l'esistenza stessa di questo sarebbe stata negata. In realtà, la cosiddetta "enciclica nascosta" era già stata commissionata da Pio XI al gesuita LaFarge e ad altri due estensori. Lo schema di enciclica, a causa del ritardo con cui arrivò a Pio XI, non trovò papa Ratti nelle condizioni di salute idonee affinché potesse leggerla e promulgarla. Infatti morì pochi giorni dopo che lo schema pervenne sul suo tavolo.
Pio XII, suo successore, non ritenne di promulgarla non certo per simpatie verso il fascismo e il nazismo, ma perché quello schema di enciclica conteneva, insieme a una chiara e netta condanna di ogni forma di razzismo e in particolare del razzismo antisemita, anche una riconferma del tradizionale antigiudaismo teologico che, sebbene nulla avesse a che fare, come ritiene la studiosa ebrea Anna Foa, con l'antisemitismo moderno le cui origini sono invece darwiniane, positiviste e teosofiche, avrebbe potuto essere facilmente strumentalizzato dal regime nazista. Se papa Pacelli avesse pubblicato integralmente quello schema di enciclica, sarebbe stato poi accusato di avere prestato argomenti teologici al razzismo hitleriano. Invece, Pio XII, ad ulteriore dimostrazione della sua ferma opposizione al nazismo ed ad ogni forma di razzismo, riprese la parte antirazzista di quella "enciclica nascosta" e la inserì nella sua prima enciclica, quella contenente il programma del suo appena iniziato pontificato, la Summi Pontificatus del 1939.
Sulla base di un presunto memoriale del cardinale Eugène Tisserant ritrovato nel 1972, prese corpo la leggenda che Pio XI fosse stato avvelenato per ordine di Benito Mussolini, il quale avendo avuto sentore della possibilità di essere condannato e forse scomunicato avrebbe incaricato il medico Francesco Petacci, padre di Clara Petacci, di avvelenare il Pontefice. Questa teoria venne seccamente smentita dal cardinale Carlo Confalonieri, segretario personale di Pio XI. Questa teoria è stata inoltre esclusa dalla studiosa Emma Fattorini, reputando la tesi come un eccesso di immaginazione che non ritrova il minimo riscontro nell'attuale documentazione.
Edited by CHECCO70 - 23/11/2016, 16:39