| Fuoco sulla collina- Ivan Graziani
Pensateci bene: quando cerchiamo con il metal detector è come se stessimo vivendo in un sogno. La realtà scivola gradualmente in secondo piano ed entriamo in un mondo a parte, dove la storia rivive in un vagito, un “bip bip” che si fonde ai suoni della natura che ci circonda. Siamo contemporaneamente ai primordi del giardino dell’Eden e all’epilogo della spianata di cemento del pianeta industrializzato. Ogni volta che la terra ci rivela il suo “tesoro”, lì si impersonifica l’entità dell’essere umano, l’ingegno. Al contrario quando invece ci troviamo davanti uno scarto, un rifiuto si incarna l’incubo dell’inciviltà, del regresso, del male. In tutti i casi, l’artificiale spezza la zolla, lasciando la sua impronta e l’alone dell’ossido che macchia il suolo. Con meraviglia sempre nuova, tra le nostre mani l’impatto emotivo dirompente della scoperta si ripete senza mai stancarci. Bensì in quell’atmosfera onirica, qualcosa ci sfugge, l’essenza profonda di quel dono meritato scappa a nascondersi dietro una teca infrangibile, un muro inespugnabile. Quella sensazione di ineffabilità sentitamente cantata da Ivan Graziani nel “Fuoco sulla collina”. Così come accade al narratore della canzone, anche la nostra percezione è quella di vedere un uomo girato di spalle, che non ha intenzione di voltarsi. La distanza in anni luce che ci separa da lui, si riduce ma non abbastanza per poter tendere il braccio e scostarlo dalla sua immobile posizione. È frustrante ma è una regola che va accettata: salvo rare eccezioni quasi tutti gli oggetti che troviamo non riportano scritto il nome dell’antico proprietario A volte un iniziale o un monogramma è tutto ciò che rimane dell’identità di una persona che ha vissuto proprio come stiamo vivendo noi ora. Quel fratello o sorella di un’altra epoca tradito da quel lascito di vita e di morte, rimane a noi ignoto e irraggiungibile. Ciò che resta è l’immaginazione mai troppo fervente da permetterci di comprendere quel flebile messaggio che l’oggetto ci sussurra dal fondo del pozzo del tempo. Quel fioco lume di significato che traspare dalle tenebre della dimenticanza è quel “fuoco sulla collina”, è il rovo inestinguibile dell’Esodo, è il segreto del Mondo. Percorriamo strade lungo i fiumi, saliamo sui passi di montagna, solchiamo i campi e valichiamo i boschi solamente per scorgere quella flebile luce. Senza fiato, appena poco sotto la cima, impossibilitati a raggiungerla, semplici uomini e non profeti come Mosè sul monte Ore, qui fantastichiamo di contadini che bruciano sterpaglie, di amanti che fanno l’amore vicino al fuoco, di soldati che combattono, di uomini e di vita, di natura e di morte. Siamo romantici e ci illudiamo noi detectoristi quando proviamo a carpire il significato che si cela dietro ad ogni singolo oggetto che recuperiamo dall’oblio, anche se lo identifichiamo e lo studiamo a fondo, purtroppo non riusciremo mai a scorgere pienamente la sua essenza profonda. Eppure, lo abbiamo salvato, eppure lo costudiremo anche se non ci appartiene, anche se non possiamo possederlo fino in fondo. Un rumore di motore ci riporta alla realtà e ci risveglia da quel sogno in cui c’eravamo immersi, i fari dei trattori che trebbiano si sono sostituiti alle fiamme, scopriamo che è tardi e il sole sta calando. Con i postumi del viaggio della mente incrostati ai lati del cervello, ritorniamo alla macchina e andiamo a casa, soddisfatti. La consapevolezza sulla bontà del nostro gesto, dell’umiltà di inginocchiarsi, la dedica del nostro tempo mira ad un obiettivo superiore che si disinteressa della ricompensa. Un adulto non può spiegare ad un bambino che cosa sia la felicità perché lui se la sente dentro senza aver bisogno di definirla. Siamo illusi e romantici noi veri detectoristi ma di certo non siamo fessi.
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