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NELLA STEPPA CON LA MONTAGNA NEL CUORE . L'AFFARDELLAMENTO ALPINO ITALIANO NELLA WWII.

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icon13  view post Posted on 3/7/2016, 18:26     +4   +1   +1
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E' mia intenzione riproporre su questo forum una discussione già presentata a suo tempo in altri lidi inerente la presentazione del completo affardellamento di un soldato italiano durante la WWII. La lunga tempistica di realizzo fu imposta dalla dedizione rivolta all'acquisto dell'oggettistica ancora mancante per il completamento del manichino, che fù di non facile reperimento e di particolare rarità come la borsa tattica per truppe alpine modello 1939. La scelta di rappresentare in collezione, attraverso il corpo degli alpini, il soldato italiano è scaturita dall'iniziale entrata in possesso da parte di mio figlio della divisa e di alcuni oggetti personali, ruspanti e nostrani, appartenuti ad un sergente reduce dal fronte Russo. In questo caso il completamento è stato doveroso perché oltre al mero interesse collezionistico, è stato sinonimo di vera rappresentazione della storia nostrana, dell'esaltazione delle epiche gesta e della rievocazione toccante e commovente dell'umana determinazione di volersi rendere e sentire liberi anche quando il fato divenne tragicamente avverso.
La campagna in terra di Russia rappresentò per il soldato italiano una vera e propria tragedia che toccò l'apice del nefasto epilogo principalmente nelle file del corpo di spedizione alpino durante la drammatica ritirata del gennaio 1943. Benché considerato come truppa elitaria, l'equipaggiamento del soldato alpino in terra di Russia risultò essere totalmente inadeguato alle esigenze dell'ostile ed inclemente clima dell'inverno russo, rimarcando inequivocabilmente una totale, disastrosa ed incompetente sottovalutazione e una scellerata leggerezza politica e militare nel programmare ed affrontare un cosi impegnativo evento.

UN PO' DI STORIA.

Il nostro sergente era inquadrato nel 3° battaglione Edolo del 5° reggimento della 2^ Divisione Alpina Tridentina e la corretta mostreggiatura della sua giacca nonché la nappina colore verde presente sul cappello e il numero 5 nel centro del fregio ne sono la tangibile prova. Ad inizio guerra, nel 1939 il battaglione Edolo fu impiegato nelle operazioni del fronte occidentale ed in seguito, ne1 1940, fu inviato in Grecia dove per i combattimenti sostenuti al Ponte di Perati gli fu conferita la medaglia d'oro al valore militare. Nel 1942 assieme ai confratelli 1° battaglione Morbegno (nappina bianca) e 2° battaglione Tirano (nappina rossa), componenti anch'essi del 5° reggimento della Brigata Tridentina, venne trasferito sul fronte Russo e impiegato nella difesa della città di Bossowka. I tragici eventi del gennaio 1943 colsero il battaglione attestato sul fiume Don, come ultimo baluardo di copertura della disastrosa ritirata dell'intera Armata Italiana in Russia (ARM.I.R). Il caos e lo scompiglio creatosi negli alti comandi provocarono un deleterio e voluto ritardo dell'ordine di ripiegamento dell'intero corpo alpino di oltre 15 giorni (l'ordine fu comunicato il 17 gennaio quando lo sfondamento delle linee italiane era già in corso dai primi dello stesso mese) durante i quali i reparti Russi, dopo aver devastato le retrovie italiane, spingendosi molto in profondità stavano completando l'accerchiamento e la chiusura in una sacca del contingente nemico ancora in linea sul Don. Le tre Divisioni alpine Jiulia, Tridentina, Cuneense, le divisioni di fanteria Sforzesca e Vicenza, l'armata Rumena, l'armata Ungherese e alcune unità de XXXIV Corpo Tedesco si trovarono nelle precarie condizioni di affrontare un'estenuante ritirata di oltre 300 chilometri, prive di ogni supporto logistico, senza adeguati mezzi di trasporto e in condizioni climatiche proibitive (neve alta e temperature tra i - 35° e i - 42°) che per 14 drammatici interminabili giorni (dalle ore 4,00 antimeridiane del giorno 17 fino al pomeriggio del 31 gennaio) divenne una vera e propria convulsa catastrofica rotta di uomini mezzi ed animali.



Migliaia di feriti, di congelati, di sbandati e di superstiti di reparti distrutti, abbandonata ormai qualsiasi potenzialità offensiva si addensarono in interminabili colonne con alla testa gli uomini, ancora efficientemente operativi dei reggimenti delle Divisioni alpine. Bassezze umane, disperazione, atti ignobili segnarono il calvario dei più, ma non degli alpini che anche nel triste epilogo seppero mantenere alto il senso del dovere e dell'onore che fanno parte intrinseca del loro spirito di corpo. La ferrea volontà di tornare a “Baita” fu di sprone a molti e nel tragico destino, per il raggiungimento dell'intento, TUTTI, Generali e soldati, combattendo gomito a gomito, al prezzo di sanguinose perdite e superando ostacoli immani, seppero conquistare e donare l'agognata libertà a molti. La battaglia di Nikolajevka del 26 gennaio 1943, ultimo sanguinoso scontro della sacca, vide come protagonisti principali gli uomini della Tridentina in particolare dei battaglioni Edolo (giunto in linea già stremato dal combattimento poco prima sostenuto nel villaggio di Arnautovo) e Vestone (6° reggimento alpini) che a prezzo di inaudite perdite riuscirono ad aprire la strada verso la salvezza per se stessi e per il carnaio umano che li seguiva.

(Il Generale Reverberi (primo a destra), il Colonnello Signorini al centro (morirà d'infarto alla fine della sacca nel sapere le tragiche perdite subite da 6° reggimento del quale era il comandante) il Tenente Baietti e il Tenente Colonnello Chierici a rapporto prima dello scontro finale di Nikolajevka)



Il fulgido esempio di coraggio e sprezzo del pericolo dei singoli, forgiarono collettivamente l'assegnazione della seconda medaglia d'oro al 5° reggimento alpini che fu concessa in data postuma e con cerimonia solenne il 9 giugno 1948. Alla fine dell'epica e tragica ritirata l'organico delle Divisioni Alpine ebbe una drammatica riduzione e dei 57000 alpini partiti per la Russia solo in 11000 ne fecero ritorno.
Ed è per consacrare queste gesta e rendere il giusto merito al ricordo di chi là è rimasto, tramandato dai vari reduci Rigoni, Bedeschi, Corradi, Revelli ed altri e per avere sempre presente dinanzi agli occhi ciò che è stato un ALPINO in Russia ci siamo avventurati nella non semplice ricostruzione del manichino.
Sperando di suscitare anche in voi il giusto interesse, questo è ciò che siamo riusciti a realizzare.

IL MANICHINO.









ANALISI DEI COMPONENTI DEL MANICHINO.

LA DIVISA.

La giacca
All'entrata in guerra, con circolare ministeriale n° 44330 del 5 giugno del 1940, fu prevista per il soldato italiano l'adozione di una uniforme più consona al belligerante periodo. La dicitura della circolare sanciva Uniforme di guerra di adeguamento all'uniforme di pace a quella di guerra. e l'uniforme prese il nome di Giubba di panno grigioverde per truppa mod.1940. Le giacche modello 1940 non furono delle vere e proprie uniformi innovative, ma semplicemente una modifica del modello precedente (1937) che per le nuove esigenze belliche prevedeva la sostituzione dei colletti in panno nero con quelli in tessuto di lana grigio verde e il formato ridotto della mostreggiatura e dei distintivi di grado per sottufficiali e graduati di truppa.
Contemporaneamente alle nuove uniformi, per esaurire le scorte di magazzino, furono continuate ad adottare anche le giacche modello 1937 sia per i sottufficiali che per la truppa. A tal proposito assieme ai modelli standard, si riscontrano delle ibridazioni di giacche che presentano caratteristiche di entrambe le tipologie. Questo avveniva soprattutto fra quelle dei sottufficiali, che per rendere le vecchie divise consone al nuovo regolamento provvedevano tramite opifici privati, a farvi apportare le opportune modifiche. La giacca di questa discussione fa parte di una di quest'ultime ed è di originale modifica. Il colletto è stato regolarmente sostituito come tutta la bottoneria. Insegne di grado e mostrine sono del tipo ridotto. Le spalline sono state riportate e cucite in maniera non prettamente regolamentare. I laccetti di sospensione del cinturino sono stati volutamente eliminati ed il cinturino stesso è stato soppresso. Dell'originale modello 1937 conserva i risvolti a punta delle maniche, la fodera interna in tela di cotone grigio comprensiva delle due tasche (grande per il libretto di arruolamento o altri effetti personali, piccola per il pacchetto di medicazione) e le patte delle tasche ad ala di pipistrello. Sul retro la classica catana è stata soppressa.

La giacca nelle tre viste: avanti, retro ed interna.







Il risvolto sulle maniche e sulle tasche.







Il colletto e le spalline riportate.





Mostreggiatura ed insegna di grado ridotti.





Il nastrino delle campagne e le medaglie.
Posizionato sulla parte superiore del taschino sinistro trova locazione il nastrino delle campagne. E' formato dall'insieme dei nastrini delle medaglie concesse per i meriti di guerra e per la partecipazione ai vari teatri operativi. Analizzando il nastrino il nostro uomo è stato fregiato della croce per merito di guerra (nastrino a strisce bianche e blu) ed ha partecipato a due anni della guerra 1943 - 45 (nastrino a strisce verdi e rosse con due stellette) nel teatro operativo Russo 1942 - 43 (nastrino bianco e nero).



Croce al merito di guerra.





Medaglia della guerra 1943 - 1945.





Croce di ghiaccio del fronte Russo. (medaglia originale recuperata di scavo)





I pantaloni.
Con la circolare ministeriale n° 791 del 9 ottobre 1935 venne sancita l'adozione di un nuovo tipo di pantaloni per la truppa. Il nuovo modello venne denominato Pantalone di panno grigioverde per armi a piedi modello 1935. Il modello è confezionato con il tipico panno in grigioverde previsto per il vestiario da truppa ed è alto 1,30 mt. Si compone di due gambali a taglio ampio che arrivano sotto il ginocchio e che terminano con due gambaletti riportati, muniti di due fettucce di cotone colore grigioverde, della lunghezza di cm 40, atte a fermare il gambale al polpaccio. Per gli ufficiali erano previsti i classici pantaloni a sbuffo alla cavallerizza in panno di gabardina. L'utilizzo di questa ultima tipologia era concesso anche ai sottufficiali ma in panno grigioverde da truppa. Sovente questi ultimi vengono riconosciuti come un modello 1940 di derivazione dal modello 1935 da cavalleria. La diversità fra i due modelli citati consiste nella privazione dei rinforzi interni al gambale e nella riduzione della misura del gambaletto per quelli delle truppe a piedi. La realizzazione era generalmente affidata ad opifici privati che provvedevano a farli su misura del committente apportando le eventuali modifiche richieste. Nel caso dei pantaloni della discussione il nostro sergente si è mantenuto ligio alle caratteristiche imposte dal regolamento facendo rispettare l'obliquità delle tasche sui fianchi, ma nella parte posteriore ha fatto aggiungere una seconda tasca e ha richiesto l'aggiunta di un costurino superiore su entrambe. I bottoni sono consoni al modello regolamentare. I gambaletti raccorciati nella lunghezza mantengono le due fettucce in cotone grigioverde con misura a norma (40 cm), per l'allaccio del gambale al polpaccio.











Il cappello.
La circolare n°196 del 20 maggio 1910 firmata dal Ministro Spingardi sancisce l'adozione per le truppe alpine di un nuovo modello di cappello in feltro grigioverde. Il modello per truppa e sottufficiali è di pelo di coniglio colorato in grigioverde, con la calotta ornata intorno alla base da una striscia di cuoio grigioverde e presenta la tesa anteriore (trapuntata da cuciture concentriche) abbassata e quella posteriore rialzata, caratteristica comune anche nei cappelli degli uffficiali. Sul lato sinistro è posizionata la classica penna di distinzione del corpo che è inserita in una nappina di lana con il colore del battaglione. La penna è di lunghezza dai 25 ai 30 cm, leggermente inclinata all'indietro ed è nera (corvo) per la truppa, marrone (aquila) per i sottufficiali e bianca (oca) per gli ufficiali e i Generali. La nappina è formata da un dischetto ovoidale ricoperto di lana nel quale viene inserita la penna. Per la truppa, i graduati e i sottufficiali inferiori (sergente e sergente maggiore) il dischetto ovoidale è di legno. L'interno della calotta è foderato in tela di cotone nera con bordo di fine pelle nera. Nel 1912 fu adottato il fregio di canottiglia nera per la truppa (dorato per gli ufficiali) che è rimasto in uso fino ad oggi, composto da un'aquila con le ali spiegate al di sopra di una cornetta, con il numero del reggimento nel tondino centrale, posta davanti a due fucili incrociati. Da tale periodo la forma del cappello rimane caratteristicamente invariata e diventa un simbolo di appartenenza e un motivo di orgoglio per tutti gli alpini. Il cappello della discussione rispecchia le caratteristiche riguardanti il grado di appartenenza sopra citate, ma è stato fatto oggetto di una riduzione vezzosa della tesa anteriore e dell'applicazione di un bordino di cotone grigio lungo tutto il suo profilo. Il colore verde della nappina è consono al 3° battaglione di appartenenza, (l'Edolo) del 5° reggimento alpini della 2^ Brigata Tridentina. La spilletta rappresenta il distintivo di battaglione durante il periodo bellico.











Il maglione a collo alto.
Durante il primo conflitto mondiale e fino agli anni 30, furono adottati dalle forze armate Italiane dei farsetti (maglioni) in lana bianca da portare sotto le giacche a collo alto delle divise. Con circolare n°325 del 30 giugno 1932 il farsetto di lana bianca fu sostituito con uno di disegno più moderno realizzato in lana grigia e denominato Farsetto di lana grigia per truppa. Il maglione era realizzato con un misto di lana, per il 75% nera e per il restante 25% bianca. Il 24 giugno 1936 con circolare n° 496, vi fù un'ulteriore modifica nella composizione del tessuto che prevedeva l'utilizzo del 70% di lana croisée ed il restante 30% formato da cotone o fiocco di rayon. Questo nuova versione prese il nome di Corpetto a maglia di lana e cotone o rayon, color grigioverde per truppa.. Con quest'ultimo modello, salvo qualche piccola modifica apportata nel 1940, il soldato italiano affrontò anche il secondo conflitto mondiale. Il maglione di modello classico riportava nella parte anteriore uno sparato di 14cm che partiva dall'incollatura verso il petto ed era provvisto di due bottoni. Furono adottate comunque altre versioni, senza intaglio con scollatura tonda tipo pullover e a collo alto rovesciato. In quest'ultima versione nelle prime produzioni era prevista una cerniera per facilitare il passaggio della testa che nel 1940 fu abolita. Il nostro maglione fa capo ad una delle produzioni realizzate prima della modifica del 1940.







Le fasce mollettiere.
Con circolare n°13 del 3 gennaio 1929 le fasce molliettere che avevano equipaggiato il soldato italiano durante il primo conflitto mondiale vennero abolite e sostituite con un nuovo modello denominato Fasce gambiere modello 1928. Le nuove fasce avevano una forma a spirale con la parte centrale più larga e curva per adattarsi alla forma del polpaccio. La lunghezza totale era di 1,95 mt e la larghezza variava dai 6,5 cm dell'estemità ai 9 cm della parte curva. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, anche se ormai anacronistica per il periodo, questo tipo di protezione continuò ad essere adottata dalle truppe a piedi dell'esercito Italiano per tutta la durata del nuovo conflitto.
Anche le truppe alpine non furono indenni da tale deleteria adozione che si rilevò inadeguatamente disastrosa soprattutto sul fronte Russo nell'inverno 1942 - 43.







Gli scarponi.
A seguito della circolare n°398 del 30 giugno 1929 l'alpino italiano fu equipaggiato con un nuovo modello di calzatura chiodata riconosciuta come Scarpone per truppe da montagna modello 1929. Nel 1940, all'entrata in guerra, gli alpini disponevano ancora di questo modello di calzatura che praticamente li accompagnò per tutta la durata del conflitto. Di buona e robusta fattura si dimostrò un' ottima calzatura atta alle esigenze dei terreni impervi e sassosi della montagna. Risultò invece non molto adatto alle estenuanti marce di spostamento nella piatta e fangosa steppa Russa soprattutto quando il terreno per il rigidissimo clima, divenne una desolante lastra di ghiaccio e neve. La pesante chiodatura che costituiva la grande caratteristica di questo modello risultò controproducente e provocò insieme alla non ignifughità del cuoio disastrosi e gravi congelamenti. La costruzione regolamentare dello scarpone prevedeva l'adozione di cuoio di buon spessore che era cucito a mano (fra tomaia e suola) e a macchina (fra tomaia e gambetti). Nella parte anteriore della punta era previsto un rinforzo in cuoio applicato con cucitura a macchina sulla tomaia e a mano fra tomaia e suola. Gli occhielli per il passaggio delle stringhe di allaccio erano in regolamentare numero di 8 per gambetto ed erano realizzati in ottone verniciato di nero. Anche per il tallone era previsto il rinforzo che era cucito a mano ai gambetti. Il listino posteriore del rinforzo negli ultimi 10 cm era cucito ripiegato in modo da formare un passante di 5 cm di apertura atto a facilitare, tramite il tiraggio con un dito della mano, l'entrata del piede nello scarpone stesso. La suola, asse portante della calzatura, era di grande spessore (1,5 cm) e la pesante chiodatura era composta da chiodi a T come rinforzo della bordatuta esterna e da chiodi a cuspide nella parte centrale del plantare. Il numero dei chiodi a T era soggetto a variazione e dipendeva dal numero della taglia dello scarpone, il numero stanadard era di 25 per la suola e 16 per il tacco. I chiodi erano ribaditi esternamente sul bordo in modo da non danneggiare le cucitture della suola e della tomaia. Questo tipo di scarpone era in dotazione ai soldati, ai graduati di truppa e ai sottufficali inferiori (sergenti e sergenti maggiori), ma a quest'ultimi era permesso di fare uso anche di scarponi provenienti da opifici civili. In genere queste produzioni si ispiravano a modelli regolamentari di scarponi da sci che avevano la tomaia costruita in un solo pezzo, senza cuciture e senza rinforzi, che garantiva una migliore tenuta ignifuga. La chiodatura obbligatoria era del tipo pesante e rispecchiava il regolamentare canone della disposizione dei chiodi. Gli scarponi della discussione sono di questa ultima tipologia e presentano le caratteristiche sopra descritte.














GLI EFFETTI PERSONALI MILITARI.

Il piastrino di riconoscimento.
L'8 settembre 1932, con circolare n°476, fu sancita l'abolizione del vecchio piastrino di riconoscimento modello1916 e fu adottato in sostituzione un nuovo modello denominato Medaglioncino di riconoscimento modello 1932. Il nuovo tipo di piastrino era comune per tutti gli arruolati dell'esercito (truppa, sottufficiali e ufficiali superiori) ed era realizzato in lamierina di packfong (lega a base di rame) a basso tenore di nikelio (5 – 6 %). Le piastrine erano ricavate da un'unica lastra di metallo che ripiegata su se stessa dava la possibiltà di avere la duplicazione dei dati del soldato. Le due parti erano tenute serrate da un bordino ripiegato ottenuto dal prolungamento di una delle due. Al momento dell'eventuale decesso del possessore le due parti venivano distaccate mediante troncatura e mentre una era recapitata all'ufficio dell'intendenza militare per la registrazione, l'altra veniva posizionata sul corpo del milite deceduto. Purtroppo la fragilità e la troppo sensibilità all'ossidazione del materiale usato ha creato non pochi ignoti fra i deceduti italiani in zona di operazioni. Nel piastrino, attraverso le macchine punzonatrici, erano trascritti i dati matricolari del soldato quali: la classe di leva, il numero di matricola, il numero di riferimento del distretto di arruolamento, la religione, il cognome, il nome, la paternità, la maternità, ed infine il comune di residenza.
Il piastrino era tenuto al collo dal soldato, tramite una catenella a maglie saldate che era dotata di una caratteristica “susta di chiusura” che permetteva una facile chiusura e ne rendeva impossibile l'apertura accidentale. La catenina veniva passata da un' anellino posto sul piastrino stesso. Anellino e catenina erano realizzati con lo stesso materiale packfong del piastrino.

Il piastrino modello 1916.



Il piastrino modello 1932.





I libretti, personale di arruolamento e di tiro con le armi.
Al momento del reclutamento di leva per ogni soldato veniva compilato il libretto personale di arruolamento. Nel libretto erano riportate le generalità del soldato e il reparto al quale era stato assegnato. Oltre ai dati anagrafici, cognome, nome, data di nascita, paternità, maternità, domicilio, religione, distretto di arruolamento e attività civile, erano riportati anche i dati somatitci, fisici e le vaccinazioni effettuate. Sul libretto, al momento della consegna, venivano trascritti anche gli oggetti dell'equipaggiamento individuale consegnati (fucile, baionetta, buffetteria ecc) e gli indumenti del corredo (divisa, biancheria intima e dell'igiene) dei quali per ogni capo era riportata anche la durata d'uso quantificata in mesi. Sotto la voce “ RICORDI DEL SOLDATO”, parte del libretto era dedicata al vademecum delle norme del dovere, del comportamento e della cura personale che il soldato era tenuto a rispettare. Il soldato doveva portare sempre con se il proprio libretto personale che poteva essergli ritirato solamente e in maniera momentanea, per ottemperare a nuove trascrizioni. Il libretto veniva trasportato nella tasca più grande all'interno della giubba della divisa.
Assieme al libretto di arruolamento veniva consegnato al militare il libretto di tiro. Sul libretto oltre al cognome e nome del titolare era riportato il reparto di appartenenza e i dati inerenti l'arma in dotazione (tipo di arma, matricola, anno e luogo di fabbrica della stessa). All'interno del libretto erano annotate le prove di tiro sostenute, il punteggio ottenuto e la classificazione del tiratore. Il libretto era comprensivo anche di un' accurata spiegazione dell'arma, della sua manutenzione e del corretto comportamento del militare in presenza di fuoco nemico. Anche questo libretto come quello di arruolamento doveva sempre seguire gli spostamenti del soldato.

Libretti personali di un soldato del 39 Rgt della Divisione di fanteria Bologna.

















La fiaschetta tascabile del “cordiale.”
Come già detto sopra, all'interno delle giacche della divisa, oltre alla tasca per il trasporto del libretto di arruolamento, ve ne era un'altra più piccola per il trasporto del pacchetto individuale di medicazione. Non di rado però, soprattutto nelle truppe alpine, questo ripostiglio veniva utilizzato per trasportare la fiaschetta del cordiale. Di sicura acquisizione da spaccio militare la fiaschetta in nostro possesso è regolarmente marchiata come appartenente al Regio Esercito Italiano (R.E.I), é realizzata in alluminio e conteneva cognac.
Oggetto molto apprezzato in particolari climi rigidi sicuramente faceva parte anche delle dotazioni individuali dei soldati impegnati sul fronte Russo.





L' EQUIPAGGIAMENTO.

Lo zaino modello 1939.
Nel 1939 con l'evolversi del secondo conflitto mondiale, nel Regio Esercito Italiano fu intrapresa una serie di modifiche nella dotazione del soldato inerenti buffetteria ed equipaggiameno. I primi reparti interessati a tali modifiche furono proprio le truppe da montagna che con circolare n°393 del 24 maggio 1939 videro la sostituzione del vetusto sacco alpino modello 1929 con il nuovo modello, realizzato in tela olona cioè canapa impermeabilizzata, denominato Sacco per truppe alpine modello 1939.. Di più notevole capacità rispetto al precedente modello 1929, lo zaino modello 1939 mantiene tuttavia alcune carattestiche del suo predecessore. La gavetta è ancora fissata con due cinghie in nastro di canapa applicate a crociera sotto la patta di chiusura dello zaino e all'interno della stessa è mantenuta l'etichetta di tela bianca per la trascrizione dei dati del proprietario quali nome, cognome, matricola e reparto di appartenenza. Internamente lo zaino è diviso da una tramezza che è cucita sui fianchi e sul fondo in modo da creare una catana centrale e due tasconi laterali. La chiusura dello zaino è garantita da una funicella che scorre in 16 occhielli di alluminio e la chiusura della patta superiore da due cinghie di canapa e da due fibbiette di alluminio verniciate in grigioverde. Esternamente, sui fianchi e nelle parti superiore ed inferiore, sono cucite delle cinghie di tela di canapa che servono per affardellare gli accessori dell'equipaggiamento.
Gli spallacci sono realizzati con robusta tela di canapa in doppia cucitura e sono forniti di riscontri in cuoio colore grigioverde completi di fibbie di regolazione e di moschettoni per lo sgancio rapido dello zaino. Gli spallacci sono fissati alla zaino con un rinforzo centrale di cuoio munito di un rondellone di ferro dove gli stessi sono cuciti. Anteriormente, sotto gli occhielli di alluminio della chiusura, sono posizionati tre anelli a D e sotto ad essi due doppie fibbiette metalliche per l'aggancio ed il fermo della borsa tattica.























Il contenuto dello zaino.
La grande capienza del sacco/zaino modello 1939 permetteva un' agevole trasporto dei capi di vestiario e della dotazione personale del soldato. Sotto la patta di chiusura, fermata dalle cinghie a crociera, era alloggiata la gavetta di alluminio modello 1930 per truppe alpine di capienza doppia rispetto alle normali da truppa a piedi. Dentro la gavetta erano riposte la tazza di alluminio (gavettino) modello 1930 e le posate di alluminio (cucchiaio e forchetta) marchiate sull'estremità del manico da un piccolo stemma di stato e dalle lettere R.E (Regio Esercito). Ripiegato dentro lo zaino, era riposto il cappotto per armi a piedi modello 1937 (la dotazione invernale dell'alpino non prevedeva tale indumento, ma in esigenze di clima particolarmente rigido quale quello russo, anche le truppe da montagna ne furono equipaggiate) e sotto di esso per l'approvvigionamento idrico trovava locazione il secchio ripiegabile di robusta tela di canapa. Nei due tasconi formati dalla tramezza erano inseriti gli scarponcelli di ricambio con chiodatura leggera modello 1932 (ai sottufficiali era concesso anche l'utilizzo di scarponcelli di provenienza da opifici civili purchè completi di chiodatura. Gli scarponcelli presentati nella discussione sono di questa fattura e rispecchiano le caratteristiche sopra citate. La chiodatura è una via di mezzo fra quella pesante e quella leggera ed il tacco lungo il suo bordo è salvaguardato da una chiodatura con chiodi a T). Nella catana della tramezza erano riposti la biancheria intima, i calzettoni di lana pesante, il passamontagna, i guanti e gli indumenti di ricambio (camicia di lana, farsetto di lana colore grigioverde di tipo standard e cravatta in lana grigioverde). Nella due piccole tasche presenti nella catana era inserito il necessario per la pulizia delle calzature quali spazzole e scatolette di vernice.













































La borsa tattica modello 1939.
A seguito della nuova disposizione del 1939 per le truppe alpine, come accessorio supplementare da attaccarsi esternamente allo zaino, fu prevista una borsa tattica denominata Borsa tattica per truppe alpine modello 1939. La borsa, come lo zaino, è realizzata in tela olona ed è composta da una tracolla, due cintolini in cuoio grigioverde e due fibbiette di chiusura nella parte anteriore e da tre moschettoni di applicazione allo zaino e due cintolini di fermo nella parte posteriore. Il suo interno è diviso da framezze che formano tre scomparti separati. Uno intero più grande e due ricavati dividendo l'altro nella metà. Nel bordo interno del cappuccio di chiusura è presente l'etichetta di tela bianca per la trascrizione dei dati del proprietario quali nome cognome, matricola e reparto di appartenenza. La borsa, molto versatile, poteva essere utilizzata in tre diverse maniere; applicata allo zaino che era la caratteristica per cui era nata, oppure come piccolo zainetto utilizzando come spallacci la tracolla divisa a metà oppure come vero e proprio tascapane utilizzando la tracolla nella sua intera lunghezza. Quando nei grandi spostamenti era applicata allo zaino, al suo interno erano collocati gli effetti personali per il pronto uso quotidiano, quando era utilizzata nelle altre due versioni era equipaggiata con la dotazione indispensabile per il combattimento (Gavetta, posate, munizioni, un pò di biancheria di ricambio e gli effetti essenziali dell'igiene).















Il contenuto della borsa tattica.
Come già specificato la borsa tattica era divisa in tre scomparti. Durante l'utilizzo affardellata allo zaino modello 1939 nel suo interno, durante le lunghe marce di spostamento, erano collocati gli effetti personali di pronto uso quotidiano. Nello scomparto più grande trovavano posto gli indumenti di ricambio (camicia, biancheria intima e asciugamani) indispensabili per la pulizia personale nelle soste in accampamento. Nei due scomparti più piccoli erano collocati gli oggetti, regolamentari o di acquisizione civile, che servivano a svolgere le normali operazioni giornaliere della vita quotidiana e di manutenzione dell'attrezzatura.
Nella nostra ricostruzione è rappresentata l'oggettistica che attualmente siamo riusciti a recuperare che però non è ancora totalmente esaustiva in quanto ancora da completare, comprensiva del set da cucito contenente anche il particolare pettine a denti fitti antipidocchi, di alcuni pacchetti di medicazione modello 1931, di un fornelletto da campo di acquisizione civile, di un' apriscatole, di un rasoio, del sacchetto di cotone per la conservazione delle gallette o altri generi alimentari e del set per la pulizia del fucile modello 1891/41.



























Le giberne cartucciera, il cinturone e l'attrezzo individuale.
A seguito dell'adozione del nuovo fucile modello 1891, nel 1907 la già esistente buffetteria modello 1891 inerente il trasporto individuale delle munizioni fu modificata. Il nuovo modello in uso fu riconosciuto come Giberna modello 1907 per pacchetti e caricatori per fanteria di linea.
Costruite in cuoio naturale a concia grassa le giberne venivano distribuite a coppie di due per soldato ed erano collegate al cinturine di combattimento e ad una cinghia di sospensione di cuoio che fungeva da tracolla. Con questa buffetteria il fante italiano affrontò tutto il primo conflitto mondiale e solo a cavallo degli anni trenta, e più precisamente nel 1926 le giberne subirono alcune trasformazioni. Da quel periodo furono costruite con cuoio colore grigioverde conciato al cromo in modo da renderle più rigide e vennero realizzate utilizzando un'unica striscia di pelle che cucita nella metà permetteva di ottenere due contenitori con il solito pezzo eliminando così le cuciture laterali. Le dimensioni per l'alloggiamento dei pacchetti caricatori restarono inalterate mentre furono aggiunti dei rivetti di rinforzo sulle cuciture dei cintolini di chiusura e sul gancio posteriore di sospensione delle giberne. L'evoluzione dei mezzi meccanici di trasporto permise in caso di conflitto, una più rapida possibilità di approvigionamento delle attrezzature di supporto e soprattutto delle munizioni dando così la possibilità di alleggerire il carico del fante riducendo a due le quattro giberne previste nella prima guerra mondiale. Il numero della cartucce fu improntato sui quarantotto colpi distribuiti in otto caricatori da sei cartucce ciascuno. Comunque in caso di terreni particolarmente impervi dove i mezzi meccanici stentavano ad arrivare al soldato eano distribuiti ulteriori nove caricatori alloggiati in tre pacchetti di cartone contenenti tre pezzi ciascuno riposti negli zaini o nelle borse tattiche. In caso di prolungato combattimento tale aggiunta restituiva al fante la vecchia autonomia di colpi (102 cartucce) della grande guerra. Con circolare n°431 del 27 maggio 1936 per sostenere le giberne fu deciso di adottare una cinghia tracolla denominata Cinghia reggi-giberna di cuoio grigioverde modello 1936. La nuova cinghia era simile al vetusto modello 1907 ma differiva da quest'ultimo per essere più corta passando da 1765 mm a 1166 mm. Contemporaneamente durante la seconda guerra mondiale, per esaurire le vechie scorte di magazzino, assieme al nuovo modello furono adottate anche le vetuste cinghie aggiuntandole a coppie, dalla parte non a punta, cucendole in sovrapposizione una sull'altra di 50 mm e scorciandole di 42 mm. Con circolare 681 del 1926 anche il cinturino denominato Fascia di cuoio grigio per cinturini modello 1891. subì una modifica. Sul lato opposto del piccolo riscontro ricucito furono praticati dieci fori per poter agganciare la nuova fibbia di chiusura comprensiva di due ardiglioni. La nuove fibbie riconosciute come Fibbia modificata modello 1926 prevedevano la soppressione della parte sporgente piegata ad L delle vecchie fibbie e l'applicazione di un secondo ardiglione con la punta rivolta verso l'interno che doveva servire per l'attacco alla fascia di cinturino.
Con la nuova riforma a cavallo degli anni 20/30 e più precisamente con la circolare n° 721 del 10 novembre 1927, nell' equipaggiamento individuale del soldato italiano, fu sancita l'adozione di attrezzi leggeri per zappatori. L'attrezzo specifico per ogni corpo di appartenenza (fanteria, genio, truppe da montagna) doveva essere portato in un apposita borsa da applicarsi al cinturino denominata Borsa modello 1927 porta attrezzi leggeri da zappatori e sciabola baionetta modello 1891. La baionetta era inserita in una doppia taschina cucita e rivettata sulla parte centrale della tasca porta attrezzo. L'attrezzo individuale delle truppe alpine era il piccozzino/piccone meglio conosciuto come gravinetta.

















La borraccia.
Con circolare n°250 dell'11 maggio 1933 nell'esercito italiano venne adottato un nuovo modello di borraccia unificato per armi a piedi e armi a cavallo. Il nuovo modello 1933 andava a sostituire il precedente modello 1930 e pur conservandone alcune caratteristiche differiva da quest'ultimo per alcune modifiche strutturali. Per la realizzazione continuò ad essere adoperato l' alluminio che nella parte anteriore della borraccia, sulla superficie convessa, fu reso più robusto da quattro nervature longitudinali in rilevo che garantivano una maggiore tenuta da urti e compressioni. Il fondo della borraccia fu reso piatto in modo da garantire durante l' appoggio, una stabile posizione verticale. Tutti gli altri elementi, ovvero il collo, il tappo, lo zipolo e il rivestimento di feltro grigioverde rimasero invariati rispetto al vetusto modello 1930. Il sistema di trasporto subì una modifica passando dalla posizione in vita appesa al cinturino, alla posizione a tracolla usufruendo di una cinghia in nastro di cotone di 2 cm di larghezza e 150 cm di lunghezza provvista di una fibbietta in alluminio per la regolazione. Nel 1935, a soli due anni dall'entrata in servizio la borraccia modello 1933 subì delle nuove piccole modifiche innovative. Lo spessore, visto che nel trasporto a tracolla poteva essere di irrilevante intralcio, subì un buon incremento rendendo la borraccia notevolmente più robusta. La cinghia di trasporto venne applicata direttamente alle asole ricavate sul colletto di alluminio evitando gli occhiellini campanella di filo di ferro e il moschettone di aggancio della tracolla. Per quelle truppe che operavano in ambienti in cui non era possibile un frequente approvvigionamento idrico fu prevista una borraccia con capienza doppia (2 litri) rispetto a quella di normale dotazione. Le truppe alpine furono inserite in quest'ultima categoria e usufruirono per tutto il conflitto della sopracitata borraccia.





La maschera antigas.
A seguito delle disastrose e mortali conseguenze provocate durante il primo conflitto mondiale dall'utilizzo di gas venefici fu pregorativa nell'esercito italiano, negli anni postumi alla fine del conflitto, l'ammodernamento dei sistemi di protezione. Già nella metà degli anni venti con la realizzazione della maschera modello Penna ed in seguito, con i più qualificanti modelli 1931 e 1933, fu raggiunto nelle maschere antigas un buon grado di affidailità e di sicurezza. Ma il masssimo obbiettivo fu raggiunto nel 1935 con la realizzazione di un nuovo modello che fu sviluppato sulle nuove concezioni di impiego bellico. Il modello fu riconosciuto come Maschera antigas modello T-35 e accompagnò il soldato italiano su tutti i fronti e per tutto il secondo conflitto mondiale. Il facciale è costruito con gomma di buona qualità e di buon spessore che ricalca molto bene l'anatomia del viso ed è provvisto di due ampi oculari che permettono una buona visibilità di campo. Gli occhiali sono realizzati con doppi vetri intramezzati da un velo di plastica che ne irrobustisce le caratteristiche e preserva gli occhi da eventuali infiltrazioni dovute a scheggiature o rotture. Nella parte interna degli oculari venivano applicati ulteriori dischetti di plastica che fungevano da lenti antiappananti. Il marchio di fabbica, il modello e la taglia della maschera sono impressi nella perte sinistra del facciale. Il tubo corrugato, tipico dei modelli precedenti, fu eliminato e la cartuccia filtrante fu avvitata direttamente alla parte inferiore del facciale. Sopra al filtro un tappo forellato protegge la valvola di espirazione e permette una, anche se pur minima, possibilità di dialogo fra i soldati. Il facciale è tenuto in posizione tramite dei cinghiaggi elastici posteriori che possono essere regolati attraverso delle fibbiette in alluminio. La cartuccia filtrante è formata da un contenitore cilindrico in alluminio conico verso l'alto, composto nella sua parte interna da tre strati di sostanze assorbenti: granulato, carbone attivo e antifumo. La durata del filtro era garantita per cinque anni (seguendo le opportune regole) mentre in caso di aria contaminata la sua protezione si riduceva drasticamente a quattro cinque ore. In caso di minor tempo d' uso il filtro poteva essere riutilizzato avendo cura di chiuderlo accuratamente adoperando il tappino di gomma attaccato con una cordicella nella sua parte inferiore. Le maschere antigas prima dell'assegnazione venivano collaudate dal Servizio Chimico Militare che provvedeva a rilasciare un cartellino di attestato con il numero della maschera collauda. Il Servizio Chimico dava anche approvazione alla fabbrica costruttrice per la realizzazione di un manualetto d'uso. Per il trasporto la maschera era riposta in una borsetta cilindrica di tela olona (tessuto di canapa impermeabilizzato) fornita di tracolla e di patta di chiusura. All'interno della sacca trovano posto anche una scatolina di valvole di ricambio e una bustina di lenti antiappannanti di ricambio. Grazie alle ottime prestazioni, al poco ingombro e alla libertà dei movimenti la maschera T-35 ha avuto una longeva durata e ha continuato ad equipaggiare le dotazioni dei militari italiani fino quasi ai nostri giorni.













L'AFFARDELLAMENTO.

Lo zaino affardellato.
Sopra lo zaino erano collocati gli effetti di pronto uso durante le marce di spostamento. Il tutto era sapientemente collocato sullo zaino tramite le varie cinghie di cotone ritorto presenti sui lati esterni dello zaino stesso. Ogni oggetto era posizionato a seconda della priorità d'uso. Gli effetti personali di protezione come elmetto d'acciaio e la mantellina erano posizionati in modo di avere una celerità di utilizzo. La moltepilicità degli oggetti affardellati rendeva lo zaino di ulteriore non confortevole peso ma garantiva la tutela immediata del soldato in caso di impellente bisogno e di disagevole approvvigionamento da parte dell'intendenza. Sullo zaino trovavano collocazione l'elmetto d'acciaio modello 1933, la mantellina, la coperta regolamentare, le ciaspole, il bastone da montagna alpenstok, il telo tenda e la corda di sicurezza. Durante la campagna di Russia, negli spostamenti di avvicinamento alle zone di operazioni, l'alpino italiano si sobbarcò il peso del trasporto dell' attrezzatura ma in combattimento la dotazione fu molto ridotta in quanto il terreno ampiamente pianeggiante rese possibile celeri approvvigionamenti. Purtroppo a causa di questo, determinate atrezzature furono confinate in magazzino ed influirono negativamente sulle fatiche fisiche che il soldato italiano si trovò ad affrontare, in un clima esageratamente ostile quale appunto l'inverno Russo.



L'elmetto modello 1933.
Realizzato nel 1933 in sostituzione del già moderno modello 1931, il casco d'acciaio riconosciuto come Elmetto d'acciaio per truppe a piedi modello 933 fu adottato ufficialmente con la circolare n° 915 del 29 novembre 1934. Trattato termicamente è costruito in acciaio speciale composto da manganese, nichel e carbonio è formato da una calotta semisferica appositamente studiata per deviare il più possibile l'impatto di corpi estranei sulla sua superficie. Rispetto al vetusto modello Adrian, il maggior spessore della lamiera fu garanzia di sicura protezione da possibili impatti dei proiettili di rimbalzo, da piccole schegge e dalle pallette dei proiettili caricati a shrapnel. La calotta è aerata da tre rivetti bombati, forati e sfalzati, che posti uno nella parte posteriore e gli altri due posizionati verso i ¾ della parte anteriore, fungono anche da supporto al cerchione dell'imbottitura interna. L'imbottitura, che per l'epoca fu di innovativa e moderna concezione è formata da un'armatura elastica d'acciaio, atta ad assorbire ed ammortizzare gli eventuali impatti ricevuti. Su di essa è rivettata l'imbottitura di feltro e la cuffia di cuoio di capra. La cuffia è sagomata in otto linguette intagliate e forellate, riunite all'apice da una piccola correggia di cuoio che seve alla regolazione dell'altezza dell'elmo sulla testa del soldato. La cuffia è realizzata in un' unica striscia di cuoio che è unita tramite cucitura posteriore realizzata a classiche linee orizzontali oppure a Z. Il soggolo, in cuoio grigioverde a concia grassa, è rivettato a due occhielli quadrati di ferro posizionati ai due lati dell'armatura elastica d'acciaio. Quando è presente, il fregio del reparto di appartenenza è stampigliato per la truppa a mascherina con vernice nera, mentre per gli ufficiali superiori è direttamente disegnato in oro o argento a seconda del rango del grado. Per i corpi speciali quali appunto le truppe alpine, con circolare n° 678 dell'agosto 1940, fu prevista l'applicazione alla falda sinistra dell'elmo di un dispositivo porta penna in lamierino di acciaio. Il porta penna è formato da un'alloggiamento inclinato dove è inserita la penna ed è fissato alla falda dell'elmo tramite una linguetta a cerniera. Sull'alloggiamento inclinato assieme alla penna, è posizionato anche il dischetto ovoidale di legno comprensivo della nappina di lana colorata di distinzione del reggimento. La penna come già specificato è nera per la truppa e bianca per gli ufficiali. Di ottime prestazioni e di ottima affidabilità l'elmetto modello 33 ha avuto una longeva durata e ha continuato ad equipaggiare le truppe italiane fino algli anni 90 dello scorso secolo.

















La mantellina.
Fin dal primo conflitto mondiale la mantellina a ruota ha fatto parte della dotazione regolamentare dell'alpino italiano. Dopo la grande guerra alla fine degli anni venti fu realizzato un nuovo modello di mantellina consciuto come Mantellina a ruota per truppe alpine modello1929.. Nel 1933 a seguito della riforma uniformologica Baistrocchi per i militari di truppa furono adottati come indumenti di protezione contro il freddo il cappotto modello 1934 ed in seguito il modificato modello 1937 per truppe a piedi. Per l'alpino italiano il nuovo vestiario fu ritenuto poco idoneo e venne continuata ad adottale la mantellina a ruota che a seguito della modifica avvenuta nel 1937 fu classificata come Mantellina a ruota per truppe alpine modello 1937.
Con tale indumento di protezione da pioggia e freddo l'alpino italiano partì, disastrosamente per il fronte russo. Valida per il periodo autunnale la mantellina si dimostrò inadeguata ed insufficiente al comparire dei primi rigori dell'inverno russo tanto da essere sostituita come dotazione regolamentare dal cappotto per truppe a piedi modello 1937. Anche se non proprio adeguato quest'ultimo capo di vestiario riuscì in qualche maniera a garantire una più idonea protezione dal terribile gelo russo. Nei primi mesi dell'avventura russa durante le marce di avvicinamento alla linea del fronte, la mantellina, per un pronto uso di protezione in caso di vento e piogge improvvise, era affardellata nella parte superiore dello zaino direttamente sopra la patta di chiusura dello zaino stesso.





La coperta.
Come tutti i soldati italiani impegnati nel secondo conflitto mondiale, anche il militare alpino fu dotato di coperta individuale da campo in lana autarchica. La coperta da campo è di dimensioni e peso minore delle coperte da casermaggio. Le dimensioni regolamentari di 1,2x1,7 mt ed il peso attorno ai due chili permettevano un più facile affardellamento e un più comodo trasporto della coperta sullo zaino. Non di eccellente termicità era invece molto apprezzata per la idrorepellenza dovuta alla fitta trama del tessuto di lana vergine. Di classico disegno formato da tre bande di lana bianca (due più piccole laterali e una centrale più grande) le coperte ricosciute dall'intendenza militare erano contrassegnate con una stella realizzata in cucito di filo di cotone bianco nella parte bassa della coperta stessa. Durante la ritirata di Russia del gennaio 1943 nelle foto d'epoca si notano molti soldati che come ulteriore protezione dal freddo e soprattutto dall'umidità fanno uso di queste personali dotazioni. Purtroppo queste foto sono delle indelebili penose ed originali testimonianze della scellerata sottovalutazione ed impreparazione militare che gli alti comandi italiani dimostrarono nell'affrontare una così impegnativa campagna di guerra.





La corda.
Di indiscussa utilità nel teatro operativo montano la corda per la messa in sicurezza del singolo durante le scalate degli impervi pendii fu di assoluta inutilità nel piatto terreno della steppa russa.
Ciò nonostante la dotazione regolamentare dell'alpino in partenza per il fronte orientale prevedeva tale attrezzatura e di fatto gli zaini furono affardellati anche con questo componente che però fu deliberatamente soppresso in zona di operazioni. La corda era costruita in robusta fibra naturale di canapa intrecciata e presentava nelle parti finali due occhielli realizzati con la corda stessa che servivano per l'aggancio dei moschettoni di cordata. La corda era affardellata allo zaino accanto alla coperta ed era fermata dal cinghiaggio laterale che teneva in sede anche le ciaspole da neve.





Le ciaspole.
Fin dalla prima guerra mondiale nella dotazione delle truppe alpine furono previste le racchette da neve comunemente conosciute come ciaspole. Costruite in legno con intrecciatura di cordame di cotone, per essere applicate allo scarpone utilizzavano cinghiaggio di cotone ritorto e parti metalliche di filo di ferro. Agli inizi del secondo conflitto mondiale le ciaspole, essendo ancora previste nella dotazione alpina, subirono alcune modifiche di ammodernamento sia nella forma che nel sistema di applicazione allo scarpone. Il telaio è formato da un lungo listello di legno che è piegato a caldo, con lavorazione a mano, nella classica forma a fagiolo con la quale viene classificato il nuovo modello delle ciaspole. L'intrecciatura di cordame che sorregge lo scarpone rimane invariata, mentre il cinghiaggio è realizzato interamente in robusto cotone ritorto di colore bianco. Le parti metalliche che regolano la posizione del tacco vengono abolite e la cinghia di allaccio dello scarpone è equipaggiata con fibbietta ad orecchi in alluminio. Al centro della ciaspola, applicato al cordame intrecciato tramite quattro occhiellini di allumnio, è posizionato il robusto plantare in cotone ritorto che sorregge lo scarpone. Il cordame è intrecciato al telaio di legno della ciaspola passando attraverso delle asole ricavate lungo la costola del telaio stesso. La lunga cinghia, sapientemente passata attraverso delle campanelle di ferro poste sull'intreccio del cordame, permette la giusta regolazione delle diverse misure degli scarponi e la fibbia ad orecchi permette un rapido bloccaggio e sbloccagio dello scarpone dalla ciaspola. Al momento della partenza per il fronte russo l'alpino disponeva di questa utile attrezzatura che era posizionata e fermata sui fianchi degli zaini modello 1939. Purtroppo al momento del bisogno, durante la disastrosa ritirata del 1943, molte di queste attrezzature, giacenti nei magazzini miltari di stoccaggio, andarono perdute a causa dei distruttivi incendi appiccati volontariamente per non far cadere il materiale in mano nemica e disgaziatamente pochi furono gli alpini che riuscirono ad usufruirne per un più comodo procedere. La ripercussione delle morti bianche da sfinimento e stanchezza fu in quel triste periodo di una drammaticità impressionante. (Per completezza della discussione allego l'unica foto d'epoca che sono riuscito a reperire di alcuni artiglieri in ritirata con la dotazione delle ciaspole affardellata).



















L'alpenstock.
Un'altro utile attrezzo della dotazione delle truppe alpine era rappresentato dal bastone da montagna comunemente riconosciuto come Alpenstock. Di lunghezza variabile fra i 140 e i 170 cm era realizzato con legno resistente e leggero dotato di puntale e testiera in metallo. Il legno poteva essere più o meno di pregio a seconda del luogo di provenienza e delle ditte di costruzione. Un buon legno era rappresentato dal rovere, ma non veniva disdegnato neanche il più comune abete bianco. Il puntale era rigorosamente in acciaio fucinato e temprato con disegno più comune a sezione quadrata mentre per la testa poteva essere usato anche il bronzo o l'ottone bruniti o verniciati di nero. Il diametro del bastone dipendeva dal diametro degli accessori metallici e poteva variare dai 2,5 ai 4 cm. A circa 15-18 cm dalla testa sul bastone era presente un foro passante di circa 5 mm di diametro nel quale era inserita una piccola correggia di cuoio per la presa e l'appoggio della mano durante l'utilizzo del bastone. Molto utile nelle ascese e nelle discese degli impervi terreni montani, risultò soltanto di ingombro nelle ampie pianure come la steppa Russa. Gli alpini in partenza per questo fronte, in previsione di un loro impiego in terreno Caucasico, ne furono egualmente equipaggiati, ma l'evolversi dei disastrosi eventi che costrinse il loro impiego nella piatta pianura decretò il totale abbandono di tale, ormai divenuta inutile, attrezzatura.













Il telo tenda modello 1929.
Per l'esigenza di tutelare al meglio l'incolumità del militare al fronte, nell'esercito italiano, già durante il primo conflitto mondiale si provvide a rendere meno visibili attraverso il mometismo attrezzature ed uomini. Divise ed accessori furono studiati affinchè il colore risultasse meno vistoso agli occhi del nemico. Il colore adottato per le divise fu il grigioverde, per i teli delle attrezzature il colore ocra o bruno terra. Verso la fine degli anni venti, con la riforma degli equipaggiamenti, fu realizzato un nuovo tipo di disegno mimetico a chiazze formato dai colori verde, ocra e marrone. Questo tipo di disegno fu prerogativa dei tessuti dei teloni e delle tende da campo previste per le zone di operazioni. Il nuovo telo tenda è classificato come Telo tenda mimetico modello 1929. Il telo di misura standard di 1,85 mt per lato è provvisto di una serie di asole e di bottoni che permettono il suo utilizzo per diversi scopi. I bottoni sono di metallo (alluminio verniciato di marrone) e le asole degli occhielli sono realizzate in cucitura a macchina con filo di cotone nero, marrone o verde.
Con questa tipologia di tenda il soldato italiano affrontò il secondo conflitto mondiale. Come per tutti i soldati del Regio Esercito anche per gli alpini fu prevista tale attrezzatura che era comprensiva del telo tenda e degli accessori per la tenda. Il telo tenda e gli accessori erano trasportati affardellati nella parte inferiore dello zaino modello 1939 fermati dai cinghiaggi di tela di cotone ritorto. Gli accessori erano composti da due paletti di metallo anodizzato (conosciuti come clarinetti), da una cordicella di fibra naturale intrecciata e da due grossi picchetti di legno. Durante gli accampamenti estivo/autunnali in terra di Russia questa attrezzatura fu di indubbia utilità per il soldato alpino, ma fu definitivamente abbandonata per più comodi alloggi (isbe e ricoveri sotterranei) al sopraggiungere del tosto clima invernale. La spessa coltre di neve ed il gelo eccessivo non permisero più l'utilizzo di vistosi disegni mimetici e di freddi tendaggi e solo per la sua ignifughità il telo tenda modello 1929 fu, in qualche caso, utilizzato come copertura provvisoria di attrezzature, strumenti ed animali.











L'ARMAMENTO INDIVIDUALE .

Il fucile modello 1891/41.
Il 29 marzo 1892 il Regio Esercito Italiano, come arma di ordinanza in sostituzione del vetusto modello Vetterli-Vitali, adottava ufficialmente il fucile Manlicher-Carcano modello1891 in calibro 6,5x52mm. Fedele compagno del soldato italiano durante tutto il primo conflitto mondiale il nuovo fucile in adozione fu riconosciuto come Fucile Manlicher-Carcano modello 1891 lungo. Durante gli anni successivi alla prima guerra mondiale, per esigenze di ammodernamento, furono realizzati diversi modelli di fucili più corti (moschetti) di derivazione dal capostipite modello 1891. Nel 1941 per equipaggiare le truppe alpine in partenza per il fronte Russo fu realizzato, sempre in derivazione, un nuovo modello di fucile che fu denominato Fucile Manlicher-Carcano modello 1891/41. Il nuovo modello continua a mantenere il calibro 6,5x52mm ma è più corto nella canna di 8 cm misurando totalmente 117,5 cm. Il sistema di caricamento e di sparo è identico al suo predecessore mod.91 lungo con lastrina di caricamento a sei colpi, ma da questi differisce per l'alzo di mira più corto. L'alzo del tipo ad alette a quadrante ribaltabile è tarato da 300 a 1000 metri e dispone di due tacche di mira fisse da combattimento impostate su 200 e 300 metri. La culatta di canna è cilindrica e non più a sfacettatura esagonale e riporta punzonati il marchio di fabbrica dell'Arsenale di Terni (FAT), l'anno di costruzione ed il seriale matricolre del fucile. Il numero di matricola è ripetuto anche sulla pala della calciatura della cassa. Come nel predente mod.91 l'attacco della sciabola baionetta modello 1891 è a slitta a T ed è situato sul bocchino sotto il canale della bacchetta nettatoria. La cassa in legno di noce, di frassino o di faggio è fissata alla canna da una vite, da una fascetta e dal bocchino. Nella parte superiore la canna è protetta da un copricanna di caratteristica lignea uguale alla cassa ed il calcio è protetto da uno spesso calciolo di lamiera. La cinghia di trasporto è in cuoio a concia grassa dipinto in grigioverde di 2,2 cm di larghezza. Il sistema di caricamento dell'arma è previsto con l'inserimento, nel vano di culatta, di una lastrina/caricatore contenente sei cartucce a pallottola che è tenuta in sede da un dentino di ritegno posto nel vano del serbatoio. L'immissione della cartuccia nella camera di scoppio è del tipo a otturatore manuale scorrevole e girevole ed è assicurata da un'elevatore a molla posto anch'esso nel vano serbatoio. Al momento del cameramento della sesta cartuccia il dentino di ritegno termina la sua presa e la lastrina ormai libera cade automaticamente dall'apertura inferiore del serbatoio dando modo al soldato di apprendere dell'avvenuto termine dei colpi. Nostante l'ingombro e la poca maneggevolezza anche questo modello di fucile si dimostrò efficace, affidabile ed apprezzato come il suo mitico predecessore.

























La baionetta/sciabola modello 1891.
Durante il secondo conflitto mondiale, per le truppe a piedi (fanteria) continuò ad essere adottata come arma bianca la baionetta/scaibola modello 1891. La baionetta modello 1891 realizzata per essere inastata nei fucili Carcano-Manlicher modello 1891 lungo, continuò la sua lungimirante carriera anche nei modelli di fucili derivati e con la creazione del fucile modello 1891/41 anche le truppe alpine che usufruivano di tale arma ne furono dotate. La sciabola/baiontta 1891 si compone di una lama di acciaio lunga 30 cm con profilo rettangolare e filo a sguscio su entrambi i lati. La crociera della guardia è lunga 9 cm con spessore di 8 mm terminante nella parte inferiore con un piccolo pomello sferico. Il braccio della parte superiore della crociera è comprensivo dell'occhione di innesto alla canna (anello con diametro esterno di 1,8 cm ed interno di 1,3 cm di uguale misura della volata della canna) ed è di altezza atta alla protezione, durante l'inserimento della baionetta sul fucile, della sottostante bacchetta nettatoria,. L'impugnatura è comprensiva di due guancette in legno liscio fermate entrambe al manico tramite due rivetti ribaditi. Sul pomolo dell'impugnatura è presente il piolo a molla di blocco della scanalatura a T, lunga 3,5 cm, che fa da guida al dente di supporto della baionetta posto sotto il bocchino del fucile. Sul tallone della lama nelle produzioni provenienti da arsenale è impresso il nome del luogo di produzione mentre sulla crociera sono riportate le punzonature della matricola e dell'anno di costruzione. Nelle produzioni civili i marchi relativi a matricola, fabbrica e anno di costruzione sono punzonati direttamente sulla crociera.
L'arma in totale misura 41 cm e non ha subito sostanziai modifiche durante la sua duratura carriera salvo lievi differenze di rifinitura e di molteplicità dei materiali.
La baionetta è comprensiva solitamente di fodero di cuoio provvisto di fornimenti (puntale e cappa) in materiale metallico ma esistono anche due altre versioni di fodero, completamente metalliche, in acciaio nervato o liscio. I fornimenti per i foderi di cuoio furono previsti interamente in materiale di ottone, ma durante il periodo bellico della seconda guerra mondiale le cappe di questo materiale furono fermate al cuoio con viti più economiche di acciaio. Contemporaneamente con l'evolversi del conflitto nelle nuove produzioni dei foderi l'ottone fu abolito e i fornimenti vennero realizzati in comune ferro laccato o brunito. Il marchio di fabbrica e l'anno di produzione sono stampigliati sulla costola sinistra nella parte posteriore del fodero. La baionetta della discussione è una produzione realizzata dalla ditta privata C. Gnutti nel 1941. Con la baionetta inastata il fucile modello 91/41 raggiungeva la ragguardevole lunghezza di 147 cm dando la possibilità al soldato, in caso di combattimento ravvicinato, di disporre di una buona distanza di difesa/offesa dall'assalto del nemico.

















IL MUNIZIONAMENTO.

La cartuccia a pallottola cal. 6,5x52mm Mannlicher – Carcano mod. 1890/95.
Dal 1870 il Regio Esercito Italiano aveva in dotazione i fucili Vetterli-Vitali in calibro 10,35x47 mm Rimmed che sparavano cartucce a pallottola caricate a polvere nera. Nel 1884 la scoperta della polvere infume alla nitrocellulosa, da parte di Paul Marie Eugène Vieille, rese possibile la realizzazione di fucili con calibratura minore rispetto a quelli fino ad allora adottati.
Tedeschi e Francesi realizzarono dei fucili con calibratura di 8 mm, la commissione italiana del Regio Esercito optò per un calibro ancora più piccolo in 6,5 mm. La motivazione di tale scelta fu di origine pratica in quanto il peso ridotto delle cartucce permetteva un trasporto più ampio di munizioni da parte del soldato soprattutto negli spazi dove gli approvvigionamenti stentavano ad arrivare (vedi le negative esperienze delle guerre coloniali). Con circolare del 18 aprile 1890 fu ufficialmente adottata la cartuccia a pallottola modello 1890 in calibro 6,5x52 mm Rimless e l'anno successivo fu ufficiosamente adottata l'arma lunga che la sparava e cioè il fucile Carcano Manlicher modello1891. In seguito a varie problematiche ed inconvenienti di tenuta di gas, con relativa mancata epulsione del bossolo, nel 1895 furono apportate delle modifiche atte a garantire una maggiore tenuta del fondello e la nuova cartuccia prese il nome di Cartuccia a pallottola cal. 6,5x52mm Mannlicher - Carcano modello 1890/95.
La carica delle cartucce ordinarie modello 1890/95 era costituita da 1,95 grammi di balistite in grani che spingeva una pallottola di forma cilindrico ogivale del peso di 10,45 grammi. Nei primi anni del 1900 la carica delle cartucce subì un' ulteriore modifica passando da 1,95 grammi di balistite in grani a 2,28 grammi di solenite in tubetti. Il primo ad adottare la nuova carica fu il Pirotecnico (arsenale) di Bologna nel 1906 seguito nel 1907 anche dal Pirotecnico di Capua. La solenite presenta una stabilità maggiore e a parità di condizioni, essendo più lenta, sviluppa minori pressioni della balistite rendendo più confortevole al soldato il rinculo dell'arma e garantendo altresì una maggiore durata dell'arma stessa. All'uscita della volata della canna la velocità della palla raggiunge i 730 m/sec rendendo il proiettile molto preciso nella traettoria che però causa della poca energia cinetica, dovuta al piccolo calibro, non risulta di potente potere di arresto. La palla è costruita in piombo rivestito da una camiciatura in maillechort, lega formata dall' 85% di rame e dal 15% di nichelio. Il bossolo è tronco conico di lungheza di 52 mm e presenta sul colletto una triplice punzonatura trapezoidale per la crimpatura della palla che però fu definitivamente abolita, all'inizio della seconda guerra mondiale, a favore di un nuovo sistema di aggraffatura del colletto in una apposita scanalatura godronata della palla. Sul fondello dei bossoli sono presenti in rilievo i marchi delle fabbriche costruttrici e l'anno di fabbricazione. La realizzazione delle cartucce era espletata sia dagli arsenali miltari (Pirotecnico di Bologna e di Capua) sia da ditte civili quali la S.M.I (Società Metallurgica Italiana) e la B.P.D (Bombrini Parodi Delfino). I bossoli delle cartucce del periodo bellico, sia nella prima che nella seconda guerra mondiale, furono realizzati in ottone e in acciaio laccato di verde scuro.
Le cartucce erano inserite nel fucile assemblate in lastrine elastiche, che fungevano anche da caricatore, contenenti sei colpi filari ciascuna.















Le lastrine/caricatori e il pacchetto di caricatori.
Come per le cartucce anche le lastrine elastiche di caricamento modello 1891 erano prodotte sia dagli arsenali che dalle fabbriche civili. Per la loro costruzione il materiale maggiormente impiegato fu l'ottone, ma durante i periodi bellici della prime e della seconda guerra mondiale fu adoperato anche l'acciaio. Durante la prima guerra mondiale la maggiore produzione era garantita dagli arsenali militari (pirotecnico di Bologna e di Capua) per poi regredire negli anni di intervallo e divenire maggiormente civile durante il secondo conflitto mondiale. La fabbrica che ebbe la maggiore produzione fu la S.M.I, ma con l'evolversi del conflitto per supperire alla grande richiesta si fece ricorso anche ad altre ditte artigianali. Durante la seconda guerra mondiale la dotazione regolamentare del soldato era prevista in otto caricatori, da sei cartucce ognuno, riposti nelle due giberne cartuccera. Il numero non elevato di colpi (48) imponeva, in casi di non garantiti rifornimenti da parte dell'intendenza, anche l'assegnazione per ogni soldato di tre pacchetti di cartone contenenti tre caicatori ciascuno che permettevano di aumentare la dotazione di ulteriori cinquantaquattro cartucce a disposizione. Con questo escamotage il potenziale offensivo/difensivo del soldato fu riportato alla rassicurante disponibilità di centodue colpi come nel primo conflitto mondiale.











Qui termina il tuffo nella ricostruzione storica e nella storia, nella storia delle nostre gloriose truppe alpine durante una delle più terribili campagne della seconda guerra mondiale, campagna che ha esaltato le gesta dei suoi componenti, uomini comuni che saranno per sempre ricordati come eroi. Sperando di aver esaudito in maniera abbastanza esaustiva il mio intento e di aver reso un servizio di utilità a chi è interessato all'argomento e intende dedicarsi al collezionismo dell' oggettistica militare alpina italiana, calorosi saluti a tutti e alla prossima.
Cordialmente
Luciano.
 
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view post Posted on 3/7/2016, 18:40     +1   +1
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GURKHA
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Grande Talpa....post bellissimo e ricco di spoiegazioni e foto.....sei una garanzia ;)
 
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Daniwolf69
view post Posted on 4/7/2016, 08:00     +1   +1




Come sempre...!!!
Grande e inimitabile!!!
 
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view post Posted on 4/7/2016, 22:25     +1   +1
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caporàl

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view post Posted on 4/7/2016, 23:34     +1   +1
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GURKHA
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CITAZIONE (testina @ 4/7/2016, 23:25) 
waw

Doppio....triplo waw ;)
 
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view post Posted on 4/7/2016, 23:46     +1   +1
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in medio stat virtus
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Meglio della tv !!!!!
 
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view post Posted on 5/7/2016, 02:54     +1   +1
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cristiano
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Grazie di cuore Luciano, interessantissimo ;)
 
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view post Posted on 6/7/2016, 17:27     +1   +1
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Interessantissimo post e per me molto emozionante la ricostruzione storica. Da alpino ti dico che hai reso onore alla penna!!
 
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view post Posted on 6/7/2016, 22:00     +1   +1

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Ciao a tutti, aggiungo solo un piccolo distintivo appartenuto ad un mio zio (Dossena Giordano, medaglia di bronzo al V.M.), reduce della campagna di Russia e dell'ultima carica di cavalleria ad Isbuscenskij.
Trattasi del del distintivo per il fronte russo. istituito il 12 mggio 1943 del comando dell'8a armata. Tale distintivo era di acquisto privato. Il destinatario doveva versare anticipatamente Lire 6 direttamente alla Lorioli di Milano.




Questo è mio zio (alla destra) con appuntata sul taschino sinistro la croce di ghiaccio (moda alla tedesca).

Luciano, nel retro della tua croce in basso a destra ci sono tracce di scritte o di punzonatura del produttore?
Dennis

Edited by Zobel - 8/7/2016, 08:55
 
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view post Posted on 8/7/2016, 12:33     +1   +1
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Ciao Dennis, si in basso a destra sono riportati il marchio di produzione Fratelli Lorioli Milano e sembrerebbe il nome A.Picozzi Milano.
Ti allego la foto dettagliata e grazie per l'incremento della discussione. Belli il distintivo ricordo di tuo zio, uno degli eroi di Isbuscenskij.

 
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view post Posted on 8/7/2016, 12:38     +1   +1
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GURKHA
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Post sempre piu' bello ;)
 
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view post Posted on 8/7/2016, 16:58     +1   +1
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CITAZIONE (Talpaman @ 8/7/2016, 13:33) 
Ciao Dennis, si in basso a destra sono riportati il marchio di produzione Fratelli Lorioli Milano e sembrerebbe il nome A.Picozzi Milano.
Ti allego la foto dettagliata e grazie per l'incremento della discussione. Belli il distintivo ricordo di tuo zio, uno degli eroi di Isbuscenskij.

(IMG:http://i63.tinypic.com/2w4xwci.jpg)

Grazie Luciano. Ti confermo che è bellica. Mi è capitato di vederne da scavo non marchiate. Quelle sono reducistiche. Questo tipo di medaglie per essere considerate belliche devono recare la punzonatura. Per cui chi volesse acquistare questa medaglia che a parer mio è una delle più belle prodotte in Italia, deve prestare molta attenzione alla presenza di questa punzonatura. Se è presente allora è bellica, mentre se ne è sprovvista è reducistica e il sio valore è pressoche nullo.
 
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